lunedì 1 agosto 2011

nanosguardi

Uno degli aspetti interessanti di quando si è troppo concentrati su se stessi, con inevitabile rischio di accappottamento, è scoprire che quel non esiste se non in funzione degli altri. Come spesso mi accade, il mondo di cui fortunatamente sono parte manda precisi segnali che uniti dallo stesso leimotiv convergono verso una sintesi chiara. Un mese fa la sintesi era verità. Sono ancora pieno delle bruciature che ha portato e spero restino i segni. Negli ultimi giorni invece tutto sta dirigendosi verso una nuova sintesi: studiare. Il teorema di Bernardo di Chartres "siamo come nani sulle spalle di giganti" è il motivo del titolo del post.
Sono nella condizione di nano, per guardare e costruire ho bisogno dei giganti, della loro storia, dei loro perché. Collezionare solo le immagini che avrei voluto fare io senza studiare le ragioni della loro creazione non giova ai miei turbamenti attuali.
Tempo fa misi da parte nella mia cartella "ispirazioni" uno scatto trovato sulla rete , dimenticandomene. In settimana mentre mi dedicavo alla lettura e ai lavori di Mona kuhn mi sono imbattuto in quello stesso scatto. Alla luce di quanto avevo conosciuto dell'autrice ho scoperto, con incredulità, il perché quello scatto era finito tra i miei preferiti seppure archiviato con un gesto apparentemente superficiale. I motivi delle opere della Kuhn e il mio avrei voluto farla io avevano un legame di intenzioni molto simile. Alla luce di ciò si è scatenato un aumento del desiderio di conoscenza di ciò che riguarda la progettualità di Mona Kuhn. Ho acquistato due suoi libri e ora aspetto che mi arrivino per poterne studiare meglio altre caratteristiche e trovare più informazioni di quanto la rete mi abbia già dato. Studiare è l'imperativo del presente! Ho sempre vantato una buona memoria ma qualcosa nel sistema ha preso a sgretolarsi, forse per un surplus di input da fermare, anche se nulla mi convince di più del fatto che guardavo con l'occhio distratto e ignorante di chi non sa. Ritornare su ciò che già ho in casa, studiarli forse veramente per la prima volta e analizzandoli con quanto di nuovo ho appreso negli ultimi mesi potrebbe produrre un beneficio a quella memoria che ora mi sembra in declino. Della Kuhn, ad esempio, ora saprei riconoscere una sua immagine o associare una al suo stile senza leggere la didascalia. Tutto questo è magnifico. Tutto questo è guardare. Non ho idea del punto del mio percorso in cui mi trovo, non ho ricordo di cosa vedevo all'inizio di fotografia; so che ogni nuova scoperta apre una porta verso un infinito più grande di quello da cui arrivo, ci precipito dentro con un bagaglio di preoccupazioni sconfortanti eppure stoicamente mi lascio attrarre e cado. Amo la fotografia. Non c'è dubbio. La forma di questo amore tuttavia non è chiara. Si può amare sulla base, certa, di un costante dubbio?

Nanosguardi doveva essere una pagina segreta dove riversare le foto che avrei voluto essere mie, preferisco invece riportarle qui con quello che spero diventi un appuntamento costante. La partecipazione con quanti arrivano da queste parti potrebbe dire di me più di quanto io stesso riesca a fare. Il nanosguardo#01 è una foto di Mona Kuhn, cresciuta in Brasile e che ora vive negli Stati uniti. Appartiene alla serie "France - 2002/2008". C'è della pittura in questa foto, c'è Ingres, il disincanto di uno sguardo che coglie lo spettatore ad affacciarsi su quel mondo privo di affanni, di attacchi all'innocenza, di quel paradiso terrestre tanto bello quanto potenzialmente apatico. Quello sguardo pure invitando a guardare pone una barriera fra due dimensioni: per entrare in una è necessario spogliarsi di tutte le falsità dell'altra.

Io vedo questo.


© Mona Kuhn - France 2002-2008

mercoledì 20 luglio 2011

rooms

Ci sono stagioni che non si dimenticano, ti restano dentro vive, speciali, brutali come ferite. L'estate 2011 è già fotografia. Vorrei poterla scattare davvero, mostrarla, parteciparla a quante (specifico "quante", femminile) negli ultimi quindici giorni hanno subito questa mia marea nera ascoltandomi. Ma è impossibile, potrò solo raccontarla al pari di un ricordo nostalgico. Col tempo.
Ho creato un silenzio insopportabile intorno a me, per sentire meglio, e in questo spazio bianco ieri sera ho scoperto il suono della mia voce. Un desiderio di dialogo che prima non provavo. Abbiamo parlato a lungo di noi, argomenti intimi anche. Eravamo due ciao come va? prima e ora siamo due che si sono guardati negli occhi e raccontato. Mi ha promesso, nell'imbarazzo, che si farà fotografare, per il mio progetto: odio l'immagine fotografica di me, ma ok proviamoci. L'ho ha detto rimbalzando lo sguardo ovunque, timorosamente bella.
Il mio desiderio di fotografare è cambiato. Prima del workshock ( Fra deposita la paternità della parola e guadagnaci qualcosa!) la risposta al Perché fotografo? sarebbe stata comunicare qualcosa di mio. Adesso fotografo per instaurare un rapporto con gli altri, conoscerli, raccontare di me, è ciò non escluderebbe la vecchia risposta. La pratica fotografica finalizzata all'estetica per ora mi è stucchevole, tornerà col tempo, magari col lavoro se tornerà anche quello.
Ho scritto un progetto, esiste pur non avendo fatto foto e vivrà al di là delle foto. Sarà un viaggio e come il migliore dei viaggi devo preparare bene il bagaglio prima di partire. Lo affronto con l'ansia e le paure che mi contraddistinguono eppure con la lucida inevitabilità del cavaliere che si accinge alla battaglia.

Mi rendo conto che questo spazio è cambiato. I post sono divenuti man mano sfoghi, anche incoerenti, ma forse più figli del titolo che li racchiude tutti. Come pensieri passo da un argomento all'altro, di stanza in stanza. Stanze, ecco un'altro viaggio che farò…
Ho caricato sul sito alcune delle immagini fatte a Corigliano. Essendo il mio provider tirchio di spazio, ho messo su solo alcune e private della composizione finale che ho scelto. Ma troveranno il loro luogo. Qui una della serie.

venerdì 8 luglio 2011

a…

a memoria di chi ascolterà voglio dire
a Gaetano e Cosmo, per il sudore e le bestemmie che da dieci anni li fa credere in Corigiano per la Fotografia;
a Pasquale, assistente magnifico di Settimino, una scoperta, vicino di casa e subito amico;
a Erica, modella dall'intelligenza robusta e fiera, che non ti guarda nel mirino ma negli occhi;
a Brigida, i suoi occhi lucidi e la bellezza del suo non essere ancora donna;
a Ovidio, compagno di sedia che per tre giorni ha raccontato in giro di leggere il mio blog con la simpatia che lo contraddistingue;
a Arianna, modella riservata, se la sai prendere ti parla di sé, di disegno e pittura;
A Peppe, il suo non capire e insistere era lo specchio della nostra arrogante bugia;
a Calogero Russo, la sua squisita sicilianità, la sua visione della cosa;
a Martina diciasettenneprimavoltachefotografo, al suo papà che l'ha portata fra noi;
a Anna la poetessa, la sua voce e il sigaro;
a Alfonso, dapprima per me solo allestitore mostra, poi la scoperta di un sapere fotografico enorme, il libro che mi ha consigliato, suo figlio Giosué, diavoletto di circa sette anni che per allontanarlo dalle modelle che dovevano spogliarsi gli ho scattato due ritratti;
a Mena. professoressa di religione che vuole veicolare la fotografia nelle sue lezioni;
a Michele e Francesco, compagni di opinioni e battute sul tragitto verso il lido dove pranzare;
a Elena e i racconti del suo viaggio in Nepal, la sua risata;
a lo sconosciuto con la barba seduto dietro me, mentre lo salutavo mi ha ringraziato perché gli avevo fatto un ritratto, e ad una mia frase che deve averlo colpito mi ha abbracciato sul punto di piangere quasi gli avessi salvato la vita;
a quanti qui non menziono per bontà della mia memoria, sappiate che ci siete;

a Settimio, che ho visto insistere su chi ne aveva più bisogno, piantare il seme della continuità, vestire il ruolo responsabile di chi guida e insegna:

GRAZIE.



giovedì 7 luglio 2011

medium

Nel 2004, per i miei 30anni, un gruppo di corsisti del laboratorio teatrale, trovandosi nell'imbarazzo di "dovermi" regalare qualcosa, pensarono bene di andare sul sicuro. Mi portarono un libro. In copertina una foto di Andy Warhol che scatta una polaroid di se stesso, più in alto un titolo preciso: Le idee della fotografia. E' scritto piccolo, non c'è una sola foto dentro ed è un saggio. Che palle! Quest'ultima cosa potrei anche non averla pensata, ma se è rimasto sulla mensola dei libri per sette anni un qualche moto di repulsione povrei averlo vissuto.
I libri ci scelgono. Lo credo sul serio. Per me non accade solo all'acquisto. Il rito inizia lì ma si perpetua sulla mensola. Ti chiamano, ti dicono ora tocca a me, ora sei pronto per me. Quelli che pensano che esagero o che vado di matto non vivono la lettura come qualcosa di indispensabile, e personalmente mi fanno tristezza.
E' scritto piccolo, non c'è una sola foto ed è un'antologia. Cazzo ci metterò una vita! Questo si, l'ho pensato. Come pure mi è parso di pensare, sperare, che troverò molto di quanto mi sta accadendo. Marra adotta il termine di medianità per esprimere il concetto fotografia, e l'uomo artefice, che traduce il concetto, è medium del processo. Ho fatto mia quest'adozione. Medium. Il fotografo è medium. A pochi giorni da quell'atto che ho chiamato nascere è cambiato poco. Sta sfumando al grigio il colore di quelle giornate di workshop, ma i contorni, il bordo scheletrico e portante della rivelazione si indurisce. La guerra è tutta dentro, fuori sono pervaso da una calma lentezza, la simulazione del quieto sociale, lo scudo che farà silenzio intorno a me. E so di non essere solo in questa ricerca di silenzio, di verità. Non ho ancora aperto gli appunti presi la scorsa settimana, Verità ricordo bene di averlo scritto. Pure non ho più aperto le foto del mio progetto: sono in una cartella sul computer, ne provo soggezione perché ricordo con forza come sono nate, il vero che le ha generate. Mentre scattavo avvertivo le bugie fotografiche che avevo fino ad allora realizzato, ne provavo - ne provo - vergogna. Ho sbirciato nel pozzo, per una frazione di secondo ho visto ed è bastato. Ho visto anche la distanza che mi separa dal mio vero, ma non il sentiero. La parola verità continua a bruciarmi sulla pelle come un tizzone vivo e ne sono grato. Sono vivo. Sento il mio respiro. Non posso raccontare il vero se non evoco le verità dentro me, se non mi libero della plastica interpretazione di ciò che sono ora. Rigetto il comodo, l'artificiale, il piacente, il ruffiano, il verosimile… lo vomito fuori con forza fino a farmi male. Sappiatelo, sto per urlare.

domenica 3 luglio 2011

annozero

Sono nato ieri. il mio stomaco è un groviglio di serpenti che si muovono lentamente, una matassa di vite che ne formano una sola. Questo nascere è stato venire al buio. Mi concentro e i suoni intorno a me sono ovattati, non distinguo niente, è tutto fuori fuoco. Ci sono esseri che si muovono e parlano, si rivolgono a me dandomi compiti, versano parole che non ascolto perché io non mi sento le gambe, avete capito? non mi sento le gambe. Sono qui da poche ore e il mio corpo è solo un pensiero dentro una scatolacorpo. Dove sono i miei vestiti?

Non voglio nascere. Ho paura. Non voglio scendere in quel buio, mi viene da vomitare. E' una bile di immagini e ricordi intaccati dai vermi. Non lo voglio sentire il gelido dell'origine. La mia vita la ricordo. E' stata credere, volare, ero forte. L'eroe. Ma ad un certo punto è accaduto qualcosa, mi sono ammalato di un virus che ha mille nomi. Si è insinuato attraverso gli occhi, la parte esterna più sensibile del mio corpo, si è fatto strada, nutrito, infettato e se abbia preso prima il cuore o la testa non lo so, da quel punto in poi la vita è stata un cancro. Ho un cancro. Quando tocco il mio corpo provo fastidio. Ho censurato l'origine della cicatrice con il desiderio di integrazione sociale. Mi sono abituato a tutta questa luce che si indossa come un vestito aderente, preserva la forma senza mostrare la pelle, protegge dall'abbandono dei sensi. Perché devo guarire? Non ci sono medicine per l'anima. Non voglio nascere!

Mi ricordo questo livello dell'esistenza. L'ultima parola che ricordo ha due segni: IO. Poi mi sono ammalato. Ricordo com'era.
Ogni volta che mi sveglio sento di nascere per la prima volta.
Un parto anestetico, ogni volta speciale, eternamente ripetuto.
Eternamente ripetuto.
Nascere silenzioso.
Come bolle d'aria che risalgono dal mare.
E poi il respiro.
La prima cosa.
Lo sento, mi appartiene.

Le prime volte avvertivo ostilità. Identificavo le cose con lentezza, sforzo. Ora è più semplice: mi basta guardare. Ripeto lentamente due, tre volte i nomi, arrivo a sillabarli fino ad allungare il suono, esasperare le vocali...
esasperare le vocali.
Ogni suono diventa pesante, il nome inutile, il significato insignificante.
Sono diventato una bilancia.
Quantifico ogni lettera che mi appare, ogni parola.
Ho scoperto l'unità di misura delle parole.
È l'anima.
La mia è sensibile.

Ho poche cose nella mia stanza, niente che mi appartenga. I muri sono dipinti di bianco, come il letto, come i fogli che mi lasciano tenere.
Poi c'è il nero, ed è nero tutto il resto.
Il mio mondo ha solo due colori.
Il mondo ha solo due colori.

Mi chiamo IO
Mi hanno chiamato così.
Gli serviva un segno, un suono, definirmi, imprigionarmi dentro delle lettere per essere sicuri di avermi racchiuso nella loro microconvinzione di controllo, creatori universali.
IO
Breve e supremo.
Matematico.
Logico.
Acceso o Spento.
I - O
I, quando apro gli occhi. Ogni gesto una scoperta. Sento l'eco del mio respiro.
Che lettera è il respiro?
È una delle cose che mi piace, il mio respiro.
È perché non riesco a definirlo con delle lettere, non riesco a pesarlo con il mio metro.
I, quando guardo, quando sto fermo in piedi e aspetto che il corpo si muova senza comando. Mi lascio cadere, sollevo un arto, rotolo e mi arresto.
I, sono le grida, le vocali allungate, le giunture delle ossa che suonano.
I, sono il meccanismo dei miei pensieri
I è tutto il bianco, tutta la luce
I sono le secrezioni del mio corpo, quelle naturali, quelle che richiamo con la mano
I è il mio corpo dolorante, la fatica
I è uno stato di energia dentro di me che vuole uscire
I è piangere
I è tutto quello che so, e metà di quello che sono.

O, è tutto il resto.
L'altra metà, quello che non so.
Morte.
Morte?
Mor-te.
Moo-rtee.
Mooorteeee.
Mooooooorrrrrrrteeeeeeeeeeeeeeeeeeee


Anno zero, giorno primo.

Che nome devo scrivere?
Nicola.

giovedì 30 giugno 2011

benedusi#3_li faccio rinascere

7:55
Ho capito. Stamattina è arrivato il senso di questi giorni, le parole di Settimio, il perché, la verità, la storia. Ed è vero: ti si apre il mondo. Ho capito perché nelle mie immagini c'è qualcosa che non mi piace, che manca. Ho sempre confuso la costruzione estetica di una foto con progettualità. Pensavo al risultato finale veicolato da mezzucci, stratagemmi, tecnicismi che mi portassero a quel punto, invece la chiave, vaffanculo!! è prima, il figlio è la conseguenza naturale non di uno spermatozoo figlio di puttana che ce l'ha fatta, ma di un'idea che sta prima e prima ancora: avere un figlio. E per dirla alla Benedusi: tre parole, ne ho risparmiate due.
Ho scritto i miei due progetti, questa volta la parola progetto non mi spaventa, cinque parole ciascuno. Non me ne fotte di provare obiettivi, luogo, diaframmi, chi se ne fotte: CHI SE NE FOTTE!
... cazzo mi sta venendo da piangere

benedusi#2_li faccio piangere

Sono bloccato!
Stasera ho voglia di parolacce, di dirmene quattro come dovere e senza filtro, perciò "Lettera a me stesso#2"

Caro Nicola, ma sto pippone del blocco che cazzo vuol dire? Blocco di che? Ieri sera ti sembrava di aver trovato la genialata, oggi ti salta fuori un piano alternativo che di alternativo ha l'autodistruzione e tanti saluti e sono a sti tre giorni. "La butto sull'humor" hai detto, ma hai capito dove sei? Domani è finito, si smonta e si ritorna a casa. O la fai qui questa cosa o non la fai più, vale per te come per quel povero cristo martoriato oggi. Ma poi tutto sto complicarsi, ma l'hai vista la diciasettene primavoltachefacciofoto cosa tira fuori? Rotto i coglioni con i castelli, le acrobazie filosubconscio. Sei pari a quell'imbecille che inciampa su se stesso. Ci stai a pensare troppo e sai cosa vuol dire questa frase. Fa la cosa. Punto.
La traccia ce l'hai e vedi di non metterci altra roba dentro che non serve, anzi semplifica. Aiuta quelle poverette che domani dovranno decodificare le idee di questa nuova classe di artisti. Ah! quella cosa dei vestiti lascia perdere, detto in amicizia allo stato in cui ti trovi farebbe un danno enorme. Vattene a letto, il caldo, le zanzare...niente appunti su oggi, magari te li segni fra qualche giorno e se non te li ricordi chissenefrega!
Fa la cosa. Punto

mercoledì 29 giugno 2011

benedusi#1_li sconvolgo

Si arriva in un posto, sai che incontrerai delle persone sconosciute, ci sarà da lavorare, pensare e dire e guardare, un tizio con la montatura scura e la voce da basso esordirà dicendo che non ha nulla da insegnare perché noi non abbiamo nulla da imparare, lo conosci questo approccio, da quando segui il suo blog? ti sembra di avergli fatto sempre da assistente tanto quello che dice ti sembra familiare e assorbito dalle sue e mille altre letture. Quando lo vedi arrivare lui ti saluta presentandosi e tu pensi lo so chi sei, ma hai una vaga idea di quello che scateni Benedusi? Ti maledicono e idolatrano, io filtro tutto e mi prendo il meglio, quello che mi serve per aprire quella porta che io stesso ho costruito.
C'è il rito dell'inizio, le formalità e le prima parole da ricordare, me le scrivo a stampatello sottolineato sul block note anche se le conosco, sai mai la memoria facesse scherzi. Domani, giuro, ti conterò tutte le volte che dici fondamentale, non so quanto lo hai ripetuto oggi, ma sarà un simpatico gioco, nulla più.
Sono in un posto che pare voglia dirmi tante cose, prendimi, usami come mai nessuno prima di te, le vedi quelle due modelle lì? falle fare quello che desideri, ci staranno perché sono qui apposta. Non mi convince ma sono vulnerabile adesso. Lo siamo tutti, a turno, per quei primi cinque minuti. Non ho una progettualità e confondo l'idea con il desiderio. Meglio! La lama di Settimio arriva dove doveva, la stavo aspettando da anni, è accaduto che è giunta per voce sua ma poteva essere chiunque altri. Siamo intorno a lui quando ci dice che vaffanculo il posto, la locations, le belle stanze, i culi e le tette, i flash, la luce...La luce!
Fa una cosa per rispondere ad una provocazione, sostituisce una modella con una delle ragazze che fotografa, forse una paraculata alal buon caro Settimio, ma non mi importa, io prendo quello che mi serve e bang! ragazzi mi fa emozionare perché lo riconosco, so quello che sta facendo alla non-modella, perché le parla in quel modo, mani sulla spalla e mi senti io sono qui fidati, guardami. Guardami!
La vedi la chiave?Si, sta a cinquanta centimentri da me e si chiama Verità. L'ho usata, in altri contesti, con altre persone, altri corsi, sul palco.

Quello che scrivo stasera lo capirò solo io... Domani sono previste le lacrime, e se mi approvano quello che voglio raccontare, visualizzato mentre ero sotto la doccia poco fa, se ne sono ancora convinto io, sarà un salto coi cazzi.

venerdì 24 giugno 2011

a un passo da...

ridimensionarmi o essere ridimensionato. La seconda porterebbe i cambiamenti più devastanti.
Sono lì, sul ciglio di un baratro a godermi lo spettacolo che ho di fronte ritardando, quasi non mi toccasse, l'attraversata. Sarò noioso ma uso ancora il teatro per i paragoni...
I laboratori che ti rivoltano, quelli dove te ne esci con le ossa rotte e poche lacrime perché le hai versate quasi tutte, hanno come prerogativa principale la ri-appropriazione e consapevolezza del proprio corpo. Come? Si chiama destrutturazione. Un regredire lento allo stato istintivo, primario, una visione di pura follia per chi osserva e non sa quello che sta accadendo. Per usare una metafora del cazzo è come togliere le parole da una pagina di libro, riportare allo stato vergine il foglio e, con la coscienza del significato di ogni parola, riscrivere una pagina migliore, diversa. La cosa più interessante sta nel ripetere l'operazione, di riscrittura, il numero di volte che ci aggrada alla sperimentazione, conoscere lo strumento corpo (il corpo è anche voce, ricordiamocelo!) e farlo esprimere al meglio di quanto gli è concesso con i propri limiti.
In Shine l'insegnante suggerisce: devi imparare Rachmaninov e scordartene, essere padrone della partitura tanto da non dovere pensare di fare lavoro di richiamo della memoria ma solo di esecuzione.
Quello che so di fotografia ha il sapore di nozioni tecniche, di accademico, con il disagio continuo di non interiorizzare ogni nuova lezione. Per assurdo, mi muovo per istinto ma è un istinto indisciplinato, superficiale, non regolato dall'auto-appredimento, in buona sostanza sopravvivenza. Pensavo di essere una spugna, con buona capcità di assorbimento, scopro invece con dispiacere di compattare e ammassare tutto il bagaglio (in)formativo in angoli della mente e spesso a dimenticarlo lì. L'operazione di recupero diventa sempre più faticosa e allarmante.

Facciamo finta per un istante che so di fotografia quell'abc necessaria che mi permette di muovermi a carponi nelle stanze di casa. Osservo intorno a me individui con un equilibrio diverso dal mio, bipedi allungati; io uso piccoli trucchi per non rovesciarmi da un'altezza minima oltretutto, e mi perdo la corsa, i salti, le cadute, la danza, il ritmo e la visione della postura eretta. Ci sono degli ostacoli che non oso ancora superare. Guardo in una direzione comoda mentre uno specchio velato di vapore continua ad infastidirmi ricordandomi cosa continuo a non voler vedere.

Sono ad un passo dalla destrutturazione fotografica; affrontare la visione sintetica e un po' puttana di una passione che ho eretto a difesa e virtù di un ego da confortare giornalmente in ragione di una onestà tagliente e diretta eppure liberalizzante.
Presto dovrò fare i conti con questo dubbio: continuare a fingere che la fotografia mi porterà nella direzione di scelte consapevoli incluso l'edonismo artistico, oppure essere sul percorso senza morbosamente ripetermi che figata che è la fotografia!

martedì 14 giugno 2011

monday

Ci sarebbero mezza dozzina di post che vorrei scrivere, almeno un paio riguardo il weekend lungo a milano, ma questa settimana sarà dura e il prossimo bagno caldo non so quando lo farò, figuriamoci i post...
La parte noiosa di me che si trascina gli schemi regolari della mia vita precedente suggerisce di scriverli per ordine, secondo logica data, ma infrangere le mie stesse regole è il massimo della perversione che mi concedo, perciò post su la giornata di ieri.
Dopo più di un mese di pausa, Tiziana, la mia amica truccatrice, ha minacciato seriamente di picchiarmi e togliermi il saluto se non si riprendeva a scattare per il nostro progetto comune. Non sarebbe capace né dell'una, né dell'altra cosa, ma, constatato che anche quando si impone ha un suo perché di piacevole, ho ritenuto che avesse ragione.
Ha avuto ragione anche sulle previsioni: volevo scattare in studio in mattinata e usare la luce del tardo pomeriggio per gli esterni. Le mi dice che nel pomeriggio piove e bisogna invertire, io gli replico che finché lei e parruco non finiscono e ci spostiamo a Matera si arriva tardi e col sole sulla verticale, lei mi guarda e ripete secca: oggi piove. Quando nel pomeriggio è venuto giù il diluvio eravamo al riparo nello studio, come lei voleva, ed io mi sono tenuto lontano dall'argomento meteo.
Miriam è la seconda volta che la fotografo. E' parecchio timida a dispetto della sua fisicità. A tratti il suo viso è attraversato da espressioni stupende che durano un nanosecondo; non ne becco alcuna e quando provo a riportarla lì non raggiunge mai quell'attimo: naturalmente non è una modella, fa tutt'altro nella vita. Ha un buona dose di umiltà e un pudore sopra la media delle sue coetanee. Ho rivisto gli scatti a monitor solo nella tarda serata di ieri, imprecando su alcuni erroracci e grato di avere comunque anche buone foto. Ho scattato anche in pellicola, sia 35 millimetri che 6x6, tanto per non farmi mancare il suono delle meccaniche. Mancano invece foto di backstage, le pochissime si sintetizzano in quelle sotto, due delle quali fatte dalla sorella di Miriam non avendo idea di come si mette a fuoco una 5D con sopra un 70/200 stabilizzato: spero sia culo! L'ultima foto è uno degli scatti non ancora postprodotti, il resto dovrebbe arrivare fra qualche giorno.