giovedì 7 luglio 2011

medium

Nel 2004, per i miei 30anni, un gruppo di corsisti del laboratorio teatrale, trovandosi nell'imbarazzo di "dovermi" regalare qualcosa, pensarono bene di andare sul sicuro. Mi portarono un libro. In copertina una foto di Andy Warhol che scatta una polaroid di se stesso, più in alto un titolo preciso: Le idee della fotografia. E' scritto piccolo, non c'è una sola foto dentro ed è un saggio. Che palle! Quest'ultima cosa potrei anche non averla pensata, ma se è rimasto sulla mensola dei libri per sette anni un qualche moto di repulsione povrei averlo vissuto.
I libri ci scelgono. Lo credo sul serio. Per me non accade solo all'acquisto. Il rito inizia lì ma si perpetua sulla mensola. Ti chiamano, ti dicono ora tocca a me, ora sei pronto per me. Quelli che pensano che esagero o che vado di matto non vivono la lettura come qualcosa di indispensabile, e personalmente mi fanno tristezza.
E' scritto piccolo, non c'è una sola foto ed è un'antologia. Cazzo ci metterò una vita! Questo si, l'ho pensato. Come pure mi è parso di pensare, sperare, che troverò molto di quanto mi sta accadendo. Marra adotta il termine di medianità per esprimere il concetto fotografia, e l'uomo artefice, che traduce il concetto, è medium del processo. Ho fatto mia quest'adozione. Medium. Il fotografo è medium. A pochi giorni da quell'atto che ho chiamato nascere è cambiato poco. Sta sfumando al grigio il colore di quelle giornate di workshop, ma i contorni, il bordo scheletrico e portante della rivelazione si indurisce. La guerra è tutta dentro, fuori sono pervaso da una calma lentezza, la simulazione del quieto sociale, lo scudo che farà silenzio intorno a me. E so di non essere solo in questa ricerca di silenzio, di verità. Non ho ancora aperto gli appunti presi la scorsa settimana, Verità ricordo bene di averlo scritto. Pure non ho più aperto le foto del mio progetto: sono in una cartella sul computer, ne provo soggezione perché ricordo con forza come sono nate, il vero che le ha generate. Mentre scattavo avvertivo le bugie fotografiche che avevo fino ad allora realizzato, ne provavo - ne provo - vergogna. Ho sbirciato nel pozzo, per una frazione di secondo ho visto ed è bastato. Ho visto anche la distanza che mi separa dal mio vero, ma non il sentiero. La parola verità continua a bruciarmi sulla pelle come un tizzone vivo e ne sono grato. Sono vivo. Sento il mio respiro. Non posso raccontare il vero se non evoco le verità dentro me, se non mi libero della plastica interpretazione di ciò che sono ora. Rigetto il comodo, l'artificiale, il piacente, il ruffiano, il verosimile… lo vomito fuori con forza fino a farmi male. Sappiatelo, sto per urlare.

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