domenica 4 marzo 2012

no title

L'orologio del mac segna le 23.23
Non ho messo nessuna playlist. Silenzio.
Da due ore leggo i post che da giorni sono lì. Per un po' avevo scelto di evitarli.
Stasera mi sono preso i più gustosi; è capitato qualcuno insipido, così ho smesso per non rovinarmi il sapore.
I miei di post sono ancora sull'iPad. Li ho scritti in questi ultimi due mesi, molti nei fine settimana verso e di ritorno dalla kaverdash. Perché non lì pubblico? Perché adesso mi sembrano sgasati, sbiaditi. Sono nati in momenti precisi e quei momenti erano pieni di magia. Quel sapore non lo posso richiamare e l'operazione amarcord sa di medicina.
Per ora è così, domani avrò cambiato idea e tirerò fuori i conigli dal cilindro e i fazzoletti diverranno colombe.
Sono vivo, si sappia.

martedì 14 febbraio 2012

in vena di aforismi

Recenti preoccupazioni familiari mi hanno reso incapace di gestire con serenità un periodo che avevo programmato come piacevole e fruttuoso. Il perno della fotografia, che regola sia la serenità mentale come pure un fisico che con dignità procede verso i quaranta, è stato messo a dura prova. Da più di sei settimane sono una palla da flipper, dove ad ogni sponda invece di accumulare score mi ritrovo a pensare a fatti che non mi è possibile vivere adesso. Da un mese e mezzo la costante delle mie giornate è rimandare. Questa forzatura, vissuta male all'inizio, ora comincia a mostrarmi cose inaspettate.
Essendo completamente avvolto in un problema serio come la salute di mio padre, tutto ciò che reputavo primario ha preso una piega quasi ridicola. Fino al punto di stare ventiquattrore senza che l'elemento fotografia entri in circolo. Mentalmente ho scritto parecchi post in questo periodo, alcuni considerandoli interessanti ho dovuto fermarli su iPad come note da rivedere. Così senza deciderlo finisco a scrivere un e-diario pregno di ricordi che emergono da molto lontano, cronache di ore in sale di attesa, coincidenze prese al secondo per luoghi, mezzi e temperature diverse in poche ore. Ancora una volta nei momenti di maggior pressione trovo alcune delle risposte che chiedo. Su di me funziona il metodo dello scarto. Elimino, sbuccio, semplifico, pulisco, liberandomi di superfluo.
Due aspetti che fino anche ad un anno fa mi turbavano, come e cosa, ora riesco a percepirle molto più vicine di quanto non immaginassi. A spiegarlo non ne sarei capace, perciò le lascio dire a chi sapeva farlo senza essere necessariamente in vino veritas.

L'unica cosa che conta nella vita è saper godere realmente del proprio essere, noi cerchiamo facilitazioni ovunque solo perché non sappiamo cosa possediamo, usciamo fuori da noi solo perché non sappiamo cosa c'è dentro, così abbiamo un bel da montare sui trampoli, pure sui trampoli bisogna camminare con le nostra gambe, facciamo di tutto per salire più in alto ma anche sul trono più alto del mondo non siamo seduti che sul nostro culo.

e per Tina, che fa chiosa su quanto dettoci stamattina:

La sete di sapere è un dono ma è stato regalato alle persone non per farle sentire più comode ma per metterle sulla graticola dell'attesa e del dubbio.

Entrambe di Michel de Montaigne

lunedì 30 gennaio 2012

primitivo di Manduria

Dottore: Ricorda da quanto tempo avverte di questi pensieri?
Paziente: Da un po'
D: Con un po' intende giorni? settimane?
P: Alcuni mesi
D: Ne prova o ha mai provato conforto?
P: Tutte le volte, ma solo inizialmente.
...

D: Lei ha troppo idealizzato il suo passato. se ne liberi!
P: Dei pensieri o del passato?
D: Sono la stessa cosa, non trova?
P: Mi sta dicendo di smettere con la fotografia
D: No, perché lo pensa?
P: Perché la fotografia è passato, ogni scatto è l'idealizzazione di un attimo.
...

P: Ognuna delle miliardi di foto prodotte fino ad oggi è un tributo a quella porzione del Tempo che, almeno concettualmente, possiamo possedere: il Passato. Non esiste una foto del Futuro, meno che mai del Presente.
D: Continui
P: Pensare una foto, una da realizzare ancora, è già Passato, perché il pensiero che la prodotta si muove anch'esso sulla linea dl tempo. Quando poi la produco fisicamente, rifacendomi a quell'ideale, sublimo l'idea e, inevitabilmente, il Passato. Se mi libero di quell'ideale, come lei suggerisce, non posso produrre nulla.
D: Lei confonde la proiezione con il riflesso.
P: Come?
D: Se permette, uso un elemento che riguarda il suo campo per un esempio: la luce. Una fonte luminosa emette un fascio di luce che va verso un qualcosa, proiettare, quindi va in avanti; il riflesso, viceversa, arriva da, procede indietro. Con la pratica del pensare una foto ci si proietta in avanti, il tentativo di considerare tale pratica come tempo che scorre è illusoria.
P: La luce del Sole impiega otto minuti per raggiungere la Terra.
D: L'esistenza di un corpo, nel caso che lei propone il corpo Terra, determina il Tempo, In sua assenza quella luce esisterebbe comunque. Allo stesso modo il tempo per realizzare una foto è stabilito solo in virtù della presenza di un corpo sensibile che accetta la luce, fatto ciò ne otteniamo il riflesso, la foto, che procede indietro. Finché non la scatta, quindi l'attimo di Presente che entra nel Passato, la sua foto vive nel Futuro.
P: Perché ritiene che abbia confuso le due cose: proiezione e riflesso.
D: Perché ha attribuito al suo passato il compito che non gli spetta. Lei lo identifica come la sorgente, semmai è una parte della radiazione luminosa, e potrebbe, sì, utilizzarla per illuminare la sua fotografia.
P: E cos'è la fonte allora?
D: Lei.

sabato 31 dicembre 2011

multitraccia

track #1 - voci soliste
La prima volta che ho visto Mapplethorpe in mostra provai una sottile emozione. Fu quasi un decennio fa, avevo visto le sue foto sì in giro su riviste o in formato pixel ma mai le stampe in trionfo su un muro. Quella prima volta le pareti erano nere, poche foto esposte ma abbastanza da mettermi a disagio. Ero in compagnia di un amico, che di fronte alla scena di un indice che stuzzica un glande in primo piano mi sentenzia "No, questo proprio è volgare". Me ne restai zitto, non sarei stato capace di spiegarli che non la pensavo alla stessa maniera, in più c'era il grosso rischio che mi convincesse che egli avesse ragione. Fine della storia.
16 dicembre. C'è lo sciopero dei mezzi pubblici ma tanto Milano voglio percorrerla a piedi, così dopo la lezione vado al Forma. Mi fanno lo sconto perché ho la tessera Feltrinelli. Il Forma è praticamente vuoto a quell'ora; oltre me una coppia, mi pare anziani, sono quasi a conclusione del percorso. Dallo zaino tiro fuori il moleskine che uso per gli appunti alla Kaverdash e inizio dalle polaroid. Ritrovo Mapplethorpe. Le sue immagini quadrate mi ingoiano e scrivo, di getto. È un misto di folgorazioni, note che ricopio da didascalie, pensieri che non fai in tempo a fermare che già ne arriva uno nuovo. Non trovo una foto a cui rinunciare, le amo tutte. La consistenza dei grigi è palpabile. Penso alla sottile ironia: le forme di Mapplethorpe esposte al Forma. Mi sento una scheggia impazzita e i link che apro hanno tutti la stessa matrice. Guardo le foto ma vedo volumi, penso ai volumi e li associo alla geometria, e di qui un flash mi riporta ad una immagine di un libro su Platone di qualche anno fa: all'entrata dell'Accademia un'incisione ammonisce "Entrate solo se conoscete la Matematica". Mapplethorpe lo subisco in pieno, continuo a scrivere sotto dettatura di una voce che so di essere la mia ma che in uno stato di eccitazione attribuisco allo stesso Mapplethorpe. Se ci sono delle foto che vorrei aver fatto io sono le sue, e scusate se bestemmio, se ci sono delle foto che vorrei fare devono avere quella potenza.
Prima di passare dalla libreria mi sono seduto sul divano, in galleria, fra stampe bellissime. Leggo i nome degli autori e i relativi prezzi, mi sembrano anche sottostimati. Trovo fra i libri da sfogliare due autori che non conosco ma che ora mi appartengono come satelliti: Irene Kung e Paolo Ventura. Della prima ho visto il libro Oltre il reale, una raccolta di immagini che non oso definirle di architettura. Davvero qui la luce scrive, e non mi importa sapere come e se con trucchi: sono e voglio essere spettatore. Di Ventura mi ha tratto in inganno il titolo del libro, In tempo di guerra. Scorro le pagine un tantino veloce poi mi accorgo che qualcosa non quadra. Allora studio meglio le immagini e cavolo mi raddrizzo sul divano. Vedete il suo sito, tutto, ma vi assicuro che a monitor non rendono giustizia come le stampe grande formato che ho avuto tra le mani.

track #2 - tappeto d'archi
Mi è preso una cotta per la pellicola, più per il medio formato. Non è un ritorno di fiamma per me. Fondamentalmente nasco con il digitale ma all'inizio scattavo in analogico perché quella avevo; era un matrimonio forzato, non avendo scelto io la compagna facevo il marito svogliato e pigro. Il passaggio al sensore in realtà mi ha reso più pigro ma ormai conservare su hard disk mi sembrava meno faticoso che sistemare con cura dia e negativi. Qualche volta mi sono lasciato andare a riprendere la vecchia canon, sei anni fa comprai su ebay una Olympus OM10 a 30 euro usata due volte, poi mi regalano due, dico due, Hasselblad 500CM con accessori, filtri, moltiplicatori, magazzino polaroid e pellicole scadute. Un culo enorme, lo so. Ma mi sono messo insieme ad una 5d che di cognome fa Mark II e respingo le avance. Fino alla prima lezione di scatto alla kav. ANALOGICO. È amore. Ho prestato per le vacanze natalizie l'Hasselblad che va meglio alla mia compagna di banco che ha pensato ad uno scherzo quando gli ho detto che gliela lasciavo così poteva "vivere una cosa che prima aveva solo visto in mano ad altri". Sto recuperando le pellicole per quando mi ritorna e so come usarle. Intanto flirto con il 35mm.

track #3 - piano (apertura ottave alte)
Ogni tanto mi blocco. Non riesco a scattare. È sempre un problema di approccio. Volevo scrivere una lettera e recapitarla a mano a chi ritengo possa rispondere con cognizione di causa. C'è un pezzo nell'antologia di Marra che continua a ripresentarsi in testa quando ho di questi stati. Sono tratti da un testo sulla psicologia e psicopatologia della fotografia. Lì se ne parla in ambiente medico, a me interessa una sfumatura inserito nel pezzo che sintetizza alcuni miei freni.


track #4 - fiati
Ho fatto ordine al sito. La mia faccia compare nella home. Mi sembrava giusto presentarmi. Un sito è come aprire la porta a qualcuno che vuole visitare casa tua, preferisco esserci io ad aprire quella porta. I bla bla bla su di me non li so scrivere anche se prima o poi dovrò imparare, per questo c'è poco testo. La sezione studio è tutto quello che vivo di fotografia, per lavoro, per progetti, per collaborazioni, per gioco, che non mi nasce dalle viscere. Sono l'io di circostanza, le relazioni al pubblico, l'impiegato in divisa che si impegna nel suo lavoro, la parte della casa dove accogliere gente, pranzare, guardare i film, riposare.
Room IO è la porta con su scritto Privato a cui ho deciso di togliere la chiave. Chiamatela stanza unozero o stanza io, è uguale. L'unozero è quel circuito acceso-spento che sei mesi fa mi ha messo su una strada nuova. Quel lasciare emergere senza averne timore. La coincidenza della lingua italiana porta quell'unozero a leggersi anche IO. Le foto in quella stanza sono, saranno, ciò che non pensavo di mostrare.
C'è una terza stanza: film. Non serve spiegare, ma troverete più in là anche tutto ciò che è pellicola.

track #5 - violoncello (mute)
Due giorni fa ho ricoverato d'urgenza mio padre per disfunzione cardiaca aggravata da accumulo di liquidi. Abbiamo rischiato di perderlo. Intorno a me si è spento ogni suono. Metà di quello che sono lo devo a lui. Si sta riprendendo, lentamente, ma la sua forza non sarà più quella di una volta. Scrivo questa cosa personale qui per un solo motivo. Alle persone a me care credo di aver detto quanto gli voglio bene. A meno di un'ora dalla mezzanotte e all'arrivo del nuovo anno scopro che ci sono stati quasi seimila passaggi da questo blog. A tutti quanti voi che dedicate del tempo a leggere vi ringrazio, di cuore.

domenica 20 novembre 2011

20.11.2011

Novembre, da che io ricordi, è sempre stato per me il mese con una maggiore percentuale di argomenti su cui riflettere, vuoi perché mi avverte che di lì a poco finirà un altro anno, vuoi perché percepisco un abbassamento delle energie nelle persone, vuoi perché in questo giorno in particolare chiedo uno specifico silenzio intorno a me.
20.11.2011
Ha un che di premonizione, l'allineamento è curioso e potrebbe essere l'unico che io viva. Ma sono solo numeri. Non è accaduto nulla di apocalittica importanza, eppure stamattina due gesti, delle mie sorelle, colorati da imbarazzo e silenzio ma entrambi carichi di dignità affettiva, sono stati un contributo commovente che ha rafforzato le mie ultime decisioni. Questa premessa è molto personale e per alcuni saprà come al solito di enigmatico. Se devo racchiudere tutto in un pensiero comprensibile sarebbe "dedicati alle cose vere".
Qualche settimana fa un post su fotografia e parola mi diede da pensare. C'è un aumento del desiderio alla visibilità, alla produzione finalizzata al richiamo di attenzione verso sé. Quello dei libri autoprodotti e le mostre, per la fotografia, sono alcuni esempi. Pressapoco negli ultimi mesi mi sono giunte richieste, piacevoli, dove mi si chiedeva di fare workshop di un paio di giorni a più riprese, avvisi a concorsi, mail su come creare il proprio libro e mandarlo in stampa, desideri di farsi fotografare da me. Io che tengo workshop, ma andiamo! Il piacere iniziale per fortuna ha mutato aspetto. Mi era presa questa voglia di mostrarmi, dichiararmi vivo in questo ambiente. Guardavo le librerie di lightroom ed era una selezione giornaliera di cosa mandare lì, cosa impaginare di là, quale destino dare alle mie immagini. Ma gli attacchi di bassa autostima a volte mi salvano e ben vengano. Leggete il post, traete le vostre conclusioni. Io le mie le ho fatte. Sarà che prendo le cose sul serio ma comincio a infastidirmi a vedere in fotografia la ricerca del successo - che va dal commento su facebook alla pubblicazione - ad appannaggio della ricerca culturale. Ognuno ha la sua libertà, fisica, d'opinione, d'espressione; non mi permetto di giudicarla. Quello che mi urta e accende in me toni di discussione animata è la velocità con cui alcuni vogliono raggiungere il risultato. Qui da noi un proverbio recita che "prima di conoscere veramente qualcuno devi mangiarti un quintale di sale insieme", per dire che assimilare una così alta quantità di sale richiede tempo e solo attraverso la condivisione e il tempo che ci si impiega con l'altro puoi accettarne, dell'altro, le dinamiche, il carattere. Quando pensi di aver capito una persona scopri sempre cose diverse, che ti sorprendono. Mangiare un quintale di sale può richiedere una vita. Conoscere, può richiedere una vita. Perché allora dovrebbe essere così facile - breve - riuscire a fare una foto di ritratto? una foto di paesaggio? sviluppare un progetto? Nei concorsi sul territorio, come in quelli di più vasta area, spesso mi imbatto in foto fortunate o volutamente eclatanti - per non dire da paraculo - dove l'autore non ha la più pallida idea intanto di cosa ha portato a quello scatto, e poi perché mai dovrebbe essere interessante. Sorvolo su chi è chiamato a giudicare.
Dopo la lettura del post, e di conseguenza su quanto di nuovo stavo pensando, mi sono preso del tempo. Ho avvertito in me uno strano disagio, un senso di sporco fatto di condizionamenti e stimoli massmedianici di cui volevo liberarmi, lavarmi. Ho rivisto le librerie con uno sguardo diverso, più rigido. Da alcuni giorni sto lavorando alla pulizia del sito, alla separazione in due compartimenti ben distinti: intimo e lavorativo. Prevedo di pubblicarlo prima della fine dell'anno, se non prima. La variabile k che da metà mese caratterizza i fine settimana - km e kaverdash - mi sta aiutando a fare ordine, oltre che a incontrare nuove persone e a dedicare più tempo all'essenziale, sia nei rapporti che nella formazione. Ho rallentato per viaggiare meglio e liberarmi da alcune zavorre. Oggi, 37 anni, ho meno fiato per correre ma vedo meglio i miei errori.

giovedì 13 ottobre 2011

citazioni

Lo scorso fine settimana a Matera, all'interno del convegno nazionale di teatroterapia organizzato dalla mia associazione teatrale, è stato inserito un mio intervento: un laboratorio di fotografia di tre ore. Nessuna pretesa da insegnante, anche se i ragazzi alla fine sono passati a stringermi la mano e mi sono parsi sinceri; il tema trattato nel mio intervento mi è caro in questo periodo: Fotografia e percezione del sé. Al di là del compito che ho fatto svolgere, desideravo comunicare in modo semplice quanto mi sta attraversando, cosa complicata perché ogni giorno mi sento eccitato come un adolescente che ha scoperto il sesso. E visto che il mondo è meraviglioso anche perché ci mette a disposizione gente che le parole le sa usare, nei giorni precedenti mi sono dato una ripassata ai miei libri per non fare proprio una figura da sprovveduto. Rileggere alcuni passi dell'antologia di Claudio Marra è stata una salvezza per il mio spirito. Forse è per questo che ha funzionato. Alcune delle citazione che ho riportato ai ragazzi ve le posto in basso, non mi appartengono e possono servire ad altri come aiutano me.

Franco Ferrarotti
Fotografare significa scrivere con la luce. Ma l'etimologia in questo caso inganna. Fotografare significa in primo luogo "vedere"...C'è un atto d'amore in ogni fotografia, una sorta di complessa seduzione dell'oggetto, che però va catturato, fissato, congelato per sempre. E' dunque un atto d'amore che non esclude, ma anzi implica un atto di rapina, una cattura... scrivere con la luce vuol dire, come prima condizione, avere bisogno del buio, evocare le ombre.

Italo Calvino
Perché uno che ha cominciato a fare fotografie, non c'è nessuna ragione che si fermi. Il passo tra la realtà che viene fotografata in quanto ci appare bella e la realtà che ci appare bella in quanto è stata fotografata, è brevissimo.


Eduardo Giusti
Non esiste nessuna realtà universale che possa essere osservata oggettivamente da tutti allo stesso modo; al contrario la realtà è relativa alla percezione che ognun ha e il suo significato è strettamente personale, sociale, culturale.


Manlio Brusatin
Un ritratto, pur riconoscendolo altri, non è riconosciuto dall'interessato che spesso si vede diversamente. Se il ritratto pittorico può essere ricusato dal soggetto perché non si riconosce, il ritratto fotografico è inequivocabile anche se si ritiene che un soggetto in quel particolare attimo, o in una determinata età, può riuscire meglio e più riconoscibile a se stesso. Anche per questo si dice che dopo i 30 anni uno è responsabile del proprio volto e questo corrisponde al suo ritratto, cioè al risultato di una vita che dipende da azioni, volontà, scelte. Di tutto questo il suo volto e il suo carattere sono la fotografia.

Diego Mormorio
Più precisamente il fascino che vi è in ogni ritratto nasce da questa domanda: Quale destino c'è dentro questa fotografia?...In ogni ritratto è detto tutto, senza che nulla sia detto chiaramente. Così ognuno vedrà secondo le proprie capacità di penetrazione e alcuni potranno non vedere nulla, perché la lettura delle immagini avviene per folgorazione, richiede una particolare formazione dell'io.


Jean A. Keim
Ogni persona che si trova sul posto in un determinato momento può essere testimone, ma ci sono dei buoni e dei cattivi testimoni: l'uno vede bene, l'altro guarda senza distinguere... ne danno una interpretazione...Due fotografi davanti ad una scena prendono visioni diverse della stessa realtà e nello stesso istante. Ma qual'è la realtà corretta?


Una curiosità su quanto segue. Il sabato sera, durante lo spettacolo presso il MUSMA, nei Sassi, cazzeggiavo all'ingresso rendendomi utile come servizio d'ordine. C'era un freddo assurdo e io ancora raffreddato. Mi rifugio un attimo nella biblioteca e per riflesso prendo a scorrere i titoli dei libri, quasi tutti sulla scultura. Ma visto che il cervello vede prima degli occhi mi sono bloccato su questo volume.



Lo tiro fuori, leggo qualche frase e ne sono colpito. Faccio degli scatti alle pagine della prefazione senza che se ne accorgano e torno fuori. Il libro è una edizione vecchiotta, non so se lo trovo. Sebbene parla di pittura, le affinità che vedo con la fotografia sono per me evidenti.

Ci sono tanti modi di far pittura e altrettanti per intenderla. Uno per arrivare a un'isola non sale sul treno. Per raggiungere le isole occorrono barche perché c'è di mezzo il mare, che è una superficie mossa e non sopporta i binari. La disgrazia della pittura moderna sono i binari. Uno per raggiungere un'isola non può utilizzare che galleggianti: a meno che non si getti in mare e si metta a nuotare. Non comprendo invece quelli che prendono il treno per una traversata sull'acqua. E nel compierla si addormentano e immaginano tante cose estranee alle isole, al mare, alle distanze. Più si allontanano dal luogo che si erano proposti di raggiungere e più cicaleccio intorno alle tempeste e ai perigli.

…Soltanto un genio come Picasso è rimasto fuori dalle idee, dal sistema, da ogni genere di chiarimento filosofico o di guida didattica per facilitare la lettura di un dipinto: «Tutti vogliono capire la pittura. Perché non cerchiamo di capire il canto degli uccelli? Perché amiamo una notte, un fiore, tutto quanto circonda l'uomo senza cercare di capire? E invece nel caso della pittura, la gente vuol capire… Un quadro mi viene da molto lontano. Chissà da quale lontananza l'ho sentito, l'ho visto e l'ho dipinto, eppure il giorno dopo nemmeno lo riconosco quando l'ho fatto. E' possibile penetrare nei miei sogni, nei miei istinti, nei miei desideri, nei miei pensieri che hanno impiegato tanto tempo per uscire alla luce? E' possibile penetrare quanto vi ho messo di me stesso forse contro la mia stessa volontà?»

…I buoni consigli mi annoiano, specialmente quelli che insegnano a far bene. Io non voglio salvare e non voglio essere salvato. Quando una cosa non la capisco vado da un'altra parte. Il mondo è pieno di cose che attendono di essere amate. Sono piuttosto debole per le cose che mi attraggono.

…Picasso ha ragione quando dice che giovani si diventa.

giovedì 6 ottobre 2011

fucking morning

Stamattina la sto passando a letto cercando di riprendermi il più in fretta possibile da questo attacco di tosse-emicrania-raffreddore. Vedo di recuperare un sacco di arretrati e curiosità varie da leggere nella rete e mi imbato in questo



Ma dico: sono io in anticipo o la notizia è passata inosservata? Faccio ricerche fra smentite, scherzi e poche conferme e trovo quello che avevo letto qualche giorno fa a proposito di questo




Ora, Steve Jobs non bisogna conoscerlo personalmente per dirgli Grazie. Ci ha cambiato la vita. Punto. GRAZIE Mr Jobs, e fa buon viaggio.
Della seconda cosa, gente più sveglia e dotata di me ne ha scritto un manifesto esemplare. Lo trovate qui, e se qualcuno dovesse inviarmi una mail di rettifica non lo farò, tanto i 12mila euro per la multa non li ho.

martedì 4 ottobre 2011

sveglio

non riesco a dormire. fra un paio d'ore diventa giorno e la pizza pesante di ieri sera non è la sola causa di questa insonnia. La dispepsia ha prodotto alcune riflessioni interessanti sulla giornata di ieri. Le fermo qui, nel blog dispensa. Non c'era un progetto per gli scatti di ieri, non un'idea da seguire, non una storia, niente vero. Niente. Il bisogno di scattare di qualche giorno fa si è trasformato in appetito, ho messo su una combinazione di abiti, persone, inquadrature e luci da fotografare per farne un test utile a commettere errori e scrivere come promemoria. Tra cambi di ottiche, luci flash e naturale, esterno e interno, mi sono mosso alla cazzo di cane. La scimmia bendata ha scattato pure qualche bella immagine. Domani (oggi?) li rivedo con calma. Ho impacchettato tutto in auto e stavo per andare via, non prima di aver salutato e ringraziato chi mi ha messo a disposizione i suoi spazi. Da quel momento e per la mezzora successiva la giornata ha avuto un senso.
Vito Maiullari è uno scultore. La prima volta che l'ho incontrato è stato ad aprile, già allora ne ho avuto una piacevole opinione e mi promisi di seguire un suo laboratorio per lavorare con la pietra. Pietra di cui lui ne è innamorato. Fuori dalla sua casa ci sono alcune suo opere imponenti: monoliti che suonano che fanno tanto Tibet, parallelepipedi scavati dove sedersi dentro e ascoltare il solo suono del proprio colpo, divani di pietra, e poi stelle enormi di metallo arrugginito, legno e marmo che si incastrano, sassi giganteschi a memoria del tempo, tavoli che non sono tavoli. La sua abitazione e laboratorio ha visto la presenza di telecamere della Rai, fotografi, designer, lui ne parla con lentezza, privo di quel meccanismo di attrazione che spesso rivolgiamo a queste figure altisonanti. Prima di uscire fuori al fresco serale della sua villa, nell'atelier, abbiamo parlato di idee, di come si traducono, lui della sua passione e io della mia, di come le due cose hanno elementi in comune. Mi ha mostrato come assaggiare il tempo, non metaforicamente. Ha rotto in due una pietra murgiana, piatta. La sezione, ha detto, ci rivela adesso la stratificazione e i sedimenti frutto di millenni: qui dentro c'è il tempo. Ha poggiato quel dentro alle labbra e sentito il sapore di quel tempo. Mi ha passato l'altra metà della pietra e in silenzio ho imitato il gesto. La lingua umida ha sentito il fresco. Assaggiare il tempo. La sua cultura della pietra è estesa, non solo come materia. Mi ha ricordato i miti legati alla pietra, la Medusa, Sisifo; le costruzioni offerte alle divinità fatte di pietra, i mestieri legati alla sua estrazione e lavorazione. Prima che lo lasciassi ha condiviso un pensiero che gli frulla nella testa da un po': fotografare il suono.

Non è solo a questo che penso ora. Mi ha stimolato altre idee, più semplici e vere di quelle che affollano la mia scatola dei progetti. Il rincorrere chimere va bene, nella praticità però mi scordo le cose che ho a disposizione, e sono tante. Nell'ultimo periodo mi accorgo di quanto spesso sono fortunato in questi incontri, li desidero, li cerco: voglio ascoltare!

lunedì 3 ottobre 2011

cortocircuitorandom

senso di inadeguatezza sto rubando il tempo oggi scatto seleziona foto non sono un fotografo sono diventato saccente? oggi mi stanno sul cazzo i gruppi fotografici io non ce l'ho un curriculum vitae artistico devo studiare dovrò parlare per tre ore non sono preparato la desaturazione selettiva del colore deve diventare reato! il vuoto dopo aver visto la selezione non ho il progetto per il concorso devo uscire milano e compagnia bella ecco perché ho sognato l'officina stanotte! sono distratto non ripeto inglese da una vita judie foster e julienn moor insieme le labbra a cuoricino no evitiamo! mi restano ancora dieci giorni oggi che giorno è? non ho preparato nulla ancora non sono adatto per questa cosa