track #1 - voci soliste
La prima volta che ho visto Mapplethorpe in mostra provai una sottile emozione. Fu quasi un decennio fa, avevo visto le sue foto sì in giro su riviste o in formato pixel ma mai le stampe in trionfo su un muro. Quella prima volta le pareti erano nere, poche foto esposte ma abbastanza da mettermi a disagio. Ero in compagnia di un amico, che di fronte alla scena di un indice che stuzzica un glande in primo piano mi sentenzia "No, questo proprio è volgare". Me ne restai zitto, non sarei stato capace di spiegarli che non la pensavo alla stessa maniera, in più c'era il grosso rischio che mi convincesse che egli avesse ragione. Fine della storia.
16 dicembre. C'è lo sciopero dei mezzi pubblici ma tanto Milano voglio percorrerla a piedi, così dopo la lezione vado al Forma. Mi fanno lo sconto perché ho la tessera Feltrinelli. Il Forma è praticamente vuoto a quell'ora; oltre me una coppia, mi pare anziani, sono quasi a conclusione del percorso. Dallo zaino tiro fuori il moleskine che uso per gli appunti alla Kaverdash e inizio dalle polaroid. Ritrovo Mapplethorpe. Le sue immagini quadrate mi ingoiano e scrivo, di getto. È un misto di folgorazioni, note che ricopio da didascalie, pensieri che non fai in tempo a fermare che già ne arriva uno nuovo. Non trovo una foto a cui rinunciare, le amo tutte. La consistenza dei grigi è palpabile. Penso alla sottile ironia: le forme di Mapplethorpe esposte al Forma. Mi sento una scheggia impazzita e i link che apro hanno tutti la stessa matrice. Guardo le foto ma vedo volumi, penso ai volumi e li associo alla geometria, e di qui un flash mi riporta ad una immagine di un libro su Platone di qualche anno fa: all'entrata dell'Accademia un'incisione ammonisce "Entrate solo se conoscete la Matematica". Mapplethorpe lo subisco in pieno, continuo a scrivere sotto dettatura di una voce che so di essere la mia ma che in uno stato di eccitazione attribuisco allo stesso Mapplethorpe. Se ci sono delle foto che vorrei aver fatto io sono le sue, e scusate se bestemmio, se ci sono delle foto che vorrei fare devono avere quella potenza.
Prima di passare dalla libreria mi sono seduto sul divano, in galleria, fra stampe bellissime. Leggo i nome degli autori e i relativi prezzi, mi sembrano anche sottostimati. Trovo fra i libri da sfogliare due autori che non conosco ma che ora mi appartengono come satelliti: Irene Kung e Paolo Ventura. Della prima ho visto il libro Oltre il reale, una raccolta di immagini che non oso definirle di architettura. Davvero qui la luce scrive, e non mi importa sapere come e se con trucchi: sono e voglio essere spettatore. Di Ventura mi ha tratto in inganno il titolo del libro, In tempo di guerra. Scorro le pagine un tantino veloce poi mi accorgo che qualcosa non quadra. Allora studio meglio le immagini e cavolo mi raddrizzo sul divano. Vedete il suo sito, tutto, ma vi assicuro che a monitor non rendono giustizia come le stampe grande formato che ho avuto tra le mani.
track #2 - tappeto d'archi
Mi è preso una cotta per la pellicola, più per il medio formato. Non è un ritorno di fiamma per me. Fondamentalmente nasco con il digitale ma all'inizio scattavo in analogico perché quella avevo; era un matrimonio forzato, non avendo scelto io la compagna facevo il marito svogliato e pigro. Il passaggio al sensore in realtà mi ha reso più pigro ma ormai conservare su hard disk mi sembrava meno faticoso che sistemare con cura dia e negativi. Qualche volta mi sono lasciato andare a riprendere la vecchia canon, sei anni fa comprai su ebay una Olympus OM10 a 30 euro usata due volte, poi mi regalano due, dico due, Hasselblad 500CM con accessori, filtri, moltiplicatori, magazzino polaroid e pellicole scadute. Un culo enorme, lo so. Ma mi sono messo insieme ad una 5d che di cognome fa Mark II e respingo le avance. Fino alla prima lezione di scatto alla kav. ANALOGICO. È amore. Ho prestato per le vacanze natalizie l'Hasselblad che va meglio alla mia compagna di banco che ha pensato ad uno scherzo quando gli ho detto che gliela lasciavo così poteva "vivere una cosa che prima aveva solo visto in mano ad altri". Sto recuperando le pellicole per quando mi ritorna e so come usarle. Intanto flirto con il 35mm.
track #3 - piano (apertura ottave alte)
Ogni tanto mi blocco. Non riesco a scattare. È sempre un problema di approccio. Volevo scrivere una lettera e recapitarla a mano a chi ritengo possa rispondere con cognizione di causa. C'è un pezzo nell'antologia di Marra che continua a ripresentarsi in testa quando ho di questi stati. Sono tratti da un testo sulla psicologia e psicopatologia della fotografia. Lì se ne parla in ambiente medico, a me interessa una sfumatura inserito nel pezzo che sintetizza alcuni miei freni.
track #4 - fiati
Ho fatto ordine al sito. La mia faccia compare nella home. Mi sembrava giusto presentarmi. Un sito è come aprire la porta a qualcuno che vuole visitare casa tua, preferisco esserci io ad aprire quella porta. I bla bla bla su di me non li so scrivere anche se prima o poi dovrò imparare, per questo c'è poco testo. La sezione studio è tutto quello che vivo di fotografia, per lavoro, per progetti, per collaborazioni, per gioco, che non mi nasce dalle viscere. Sono l'io di circostanza, le relazioni al pubblico, l'impiegato in divisa che si impegna nel suo lavoro, la parte della casa dove accogliere gente, pranzare, guardare i film, riposare.
Room IO è la porta con su scritto Privato a cui ho deciso di togliere la chiave. Chiamatela stanza unozero o stanza io, è uguale. L'unozero è quel circuito acceso-spento che sei mesi fa mi ha messo su una strada nuova. Quel lasciare emergere senza averne timore. La coincidenza della lingua italiana porta quell'unozero a leggersi anche IO. Le foto in quella stanza sono, saranno, ciò che non pensavo di mostrare.
C'è una terza stanza: film. Non serve spiegare, ma troverete più in là anche tutto ciò che è pellicola.
track #5 - violoncello (mute)
Due giorni fa ho ricoverato d'urgenza mio padre per disfunzione cardiaca aggravata da accumulo di liquidi. Abbiamo rischiato di perderlo. Intorno a me si è spento ogni suono. Metà di quello che sono lo devo a lui. Si sta riprendendo, lentamente, ma la sua forza non sarà più quella di una volta. Scrivo questa cosa personale qui per un solo motivo. Alle persone a me care credo di aver detto quanto gli voglio bene. A meno di un'ora dalla mezzanotte e all'arrivo del nuovo anno scopro che ci sono stati quasi seimila passaggi da questo blog. A tutti quanti voi che dedicate del tempo a leggere vi ringrazio, di cuore.
PAPA FRANCESCO IN CAPPELLA SISTINA
1 anno fa
Anche se in ritardo, ti faccio i miei migliori auguri per il 2012!
RispondiEliminaForse, quell'io, 6mesi fa, si è acceso in qualcun'altro e sono contento ogni volta che ti leggo!
Un abbraccio.