Questo è il titolo del libro biografia di Che Guevara, penso non l'unico, ma è quello che ho io.
Da qui è stato tratto il film I diari della motocicletta e racconta anche, e non solo, di un Che giovane. Il titolo è determinante, e l'estratto di una frase più lunga: Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza.
Nella mia vita, sulla mia pelle - e presto anche sui muri del mio studio - sono scritte delle frasi che sono per me dei veri dogmi: il paradosso dell'albero, che spesso ho inserito nel mio non semplice approccio affettivo; l'inciso del direttore Sandro Iovine, di cui magari un giorno posto la sua vera grandezza almeno secondo il mio punto di vista; da poco si sono aggiunte altre frasi che si stanno rivelando maestre di strada. Tuttavia un legame forte lo provo verso la prima legge della fisica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Essendo fortemente eccitato al solo udirla e quindi immaginandomi il suo sviluppo, non posso essere immune alle speculazioni fantastiche della Teoria del Caos, il Principio di Indeterminazione e il libero arbitrio. Con intervalli sempre più frequenti e tangibili sto spingendo la legge -azione/reazione - verso una artificialità, ovvero: provocare l'azione. La frase di questo periodo è provocare gli eventi. Non mi interessa sapere se è giusto o sbagliato, quanto sia realmente arbitraria questa manipolazione. Ad un certo punto prendo consapevolezza del fatto che decido da me. Sento che incontrare, osare, provocare, mi da molto, più che sperimentare in privato; dal livello del sogno scendo a quello concreto: non più a chiedermi cosa accadrebbe se… ma a farlo. Se ripenso alle ultime due giornate, ai contatti e di chi sono figli, nipoti e discendenti, trovo come risposta una sola e uguale verità: tutto è partito da un incontro non (apparentemente) voluto ma che ho forzato a fare accadere, spesso per non darla vinta alla pigrizia. Perciò ritengo sia importante spingerci oltre le comuni amicizie, ai comuni percorsi quotidiani - non so a quanti capita di percorrere sempre le stesse strade ogni giorno; poiché mi piace molto camminare quando mi accorgo di questa monotonia cambio direzione e mi avventuro per vie diverse anche se più lunghe - , oltre le vigliaccherie che ci proiettiamo o che ci attribuiscono e fare in modo di essere l'esperimento di noi stessi, la particella impazzita che nell'indeterminabilità del caos ha una ragione determinata.
Qui ritorna la premessa sul Che.
A livello atomico abbiamo teorie, principi, leggi. Sebbene lontano da qualsivoglia potenza religiosa, con piacere sostengo un'idea spirituale dell'io. In questo livello c'è il rispetto, l'educazione, l'amore, la commozione, il dolore (emotivo) la rabbia, noi come siamo insomma. Senza perdere la tenerezza dovrebbe essere lo stato in cui farsi trovare ad esperimento finito, o meglio, non perderlo mai. La psicoanalisi e le sue pragmatiche sentenze comportamentali spesso mi danno sui nervi. A trentasette anni ho ancora bisogno delle mie dosi di cartone animato, dei miei momenti di imbecillità, della mia faccia da cazzo quando dico e sento assurdità; senza ciò non vedrei il mondo così come lo registro io, ed un mondo fighissimo da qui, non so a voi ma a me fa battere il cuore.
Paco Ignazio Taibo II Senza perdere la tenerezza
José Rodrigues Dos Santos Einstein e la formula di Dio
Tim Burton Big Fish - Le storie di una vita incredibile
Da qui è stato tratto il film I diari della motocicletta e racconta anche, e non solo, di un Che giovane. Il titolo è determinante, e l'estratto di una frase più lunga: Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza.
Nella mia vita, sulla mia pelle - e presto anche sui muri del mio studio - sono scritte delle frasi che sono per me dei veri dogmi: il paradosso dell'albero, che spesso ho inserito nel mio non semplice approccio affettivo; l'inciso del direttore Sandro Iovine, di cui magari un giorno posto la sua vera grandezza almeno secondo il mio punto di vista; da poco si sono aggiunte altre frasi che si stanno rivelando maestre di strada. Tuttavia un legame forte lo provo verso la prima legge della fisica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Essendo fortemente eccitato al solo udirla e quindi immaginandomi il suo sviluppo, non posso essere immune alle speculazioni fantastiche della Teoria del Caos, il Principio di Indeterminazione e il libero arbitrio. Con intervalli sempre più frequenti e tangibili sto spingendo la legge -azione/reazione - verso una artificialità, ovvero: provocare l'azione. La frase di questo periodo è provocare gli eventi. Non mi interessa sapere se è giusto o sbagliato, quanto sia realmente arbitraria questa manipolazione. Ad un certo punto prendo consapevolezza del fatto che decido da me. Sento che incontrare, osare, provocare, mi da molto, più che sperimentare in privato; dal livello del sogno scendo a quello concreto: non più a chiedermi cosa accadrebbe se… ma a farlo. Se ripenso alle ultime due giornate, ai contatti e di chi sono figli, nipoti e discendenti, trovo come risposta una sola e uguale verità: tutto è partito da un incontro non (apparentemente) voluto ma che ho forzato a fare accadere, spesso per non darla vinta alla pigrizia. Perciò ritengo sia importante spingerci oltre le comuni amicizie, ai comuni percorsi quotidiani - non so a quanti capita di percorrere sempre le stesse strade ogni giorno; poiché mi piace molto camminare quando mi accorgo di questa monotonia cambio direzione e mi avventuro per vie diverse anche se più lunghe - , oltre le vigliaccherie che ci proiettiamo o che ci attribuiscono e fare in modo di essere l'esperimento di noi stessi, la particella impazzita che nell'indeterminabilità del caos ha una ragione determinata.
Qui ritorna la premessa sul Che.
A livello atomico abbiamo teorie, principi, leggi. Sebbene lontano da qualsivoglia potenza religiosa, con piacere sostengo un'idea spirituale dell'io. In questo livello c'è il rispetto, l'educazione, l'amore, la commozione, il dolore (emotivo) la rabbia, noi come siamo insomma. Senza perdere la tenerezza dovrebbe essere lo stato in cui farsi trovare ad esperimento finito, o meglio, non perderlo mai. La psicoanalisi e le sue pragmatiche sentenze comportamentali spesso mi danno sui nervi. A trentasette anni ho ancora bisogno delle mie dosi di cartone animato, dei miei momenti di imbecillità, della mia faccia da cazzo quando dico e sento assurdità; senza ciò non vedrei il mondo così come lo registro io, ed un mondo fighissimo da qui, non so a voi ma a me fa battere il cuore.
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