mercoledì 17 dicembre 2014

il Tempo


C’è un termine che finalmente mi spiega (e userò) perché a volte capita di ritrovare allineati insieme incontri con persone fuori dal tuo cerchio solito, delle letture, un film, una parola ascoltata per strada, lo stesso fluire caotico delle proprie riflessioni ecc. Insomma tutto quel congegno misterioso e non scientificamente dimostrato che, come riporta Wikipedia, connette fra loro in maniera casuale eventi complessi ma con un contenuto significativo analogo. Questa parola è sincronicità.  Il primo ad usarla Carl Gustav Jung. Davanti alla sincronicità io mi sciolgo. Divento elettrico e mi distacco di miei doveri per lasciarmi meravigliare da questa magia. Sta accadendo nuovamente in questo periodo e ne parlo, scrivo, perché questa volta la portata delle connessioni è impressionante. Qui non le toccherò tutte, molte sono instabili come i sogni appena svegli, con sfumature talmente lievi che non le vedi, senti e tocchi ma sai che ci sono o ci sono state. Il mattone più grosso lo porta la fotografia, e ne sono contento; d’altronde non avrei potuto trovare maestro più qualificato se non chi - o meglio chi per essa -  del Tempo ha fatto un concetto molto attuale da approfondire. Nel suo Lo specchio vuoto, Ferdinando Scianna da grande maestro qual’è riesce a darmi un chiarimento e uno scossone insieme di quanta fatica inutile si faccia intorno alla fotografia e di conseguenza allo spreco della qualità del tempo che più o meno gli dedichiamo e alla comprensione del Tempo stesso. La vetrina di Facebook, ad esempio, sfugge alla mia pazienza. Non voglio emettere giudizi sui facebooker, di cui rientro a titolo anch’io, ma le sue sabbie mobili sono appetitose per la sua componente più forte: le immagini. La pattumiera dei selfie gronda abbondantemente e non c’è più spazio per la sorpresa. Come afferma Scianna, abbiamo anche violato quei luoghi fino a qualche tempo fa ritenuti assolutamente privati e incondivisibili: i gabinetti. Perché mai dovrebbe interessarmi una foto fatta da una toilette? da un camerino di uno store? da un qualsiasi abitacolo o luogo cartolina? I selfie sono un fenomeno sociale destinato a scomparire molto più in fretta di quanto si pensi, e sarà tuttavia registrato e riportato come un passaggio importante nella comprensione del concetto di immagine del sé e dell'identità in questo tempo. Ma è appunto del Tempo, questo presente, che mi arrovello a chiarirmi. Ripeto, di quello che la gente, liberamente, decide di fare non mi importa. Ma se la frenesia generale, se la nuova velocità giornaliera con cui fare i conti, se la sindrome del “non c’ho tempo” fa rientrare anche me dentro il vortice, allora mi importa eccome. 
Leggevo che uno degli effetti generati da Facebook è un innalzamento degli stati d’ansia anche a fasce di età finora insospettate. Abbiamo bruciato quel quarto d’ora di notorietà procapite profetizzato da Warhol e lo stiamo portando verso il punto atomo. Quello che si posta su Facebook in termini di fotografie, così come su altri social, ha una vita brevissima, c’è una gara a far invecchiare tutto troppo in fretta, sostituendolo con il nuovo ma già vecchio, morto. E qui la collisione con la fotografia ci sta tutta, se penso al “è morto e sta per morire” di Roland Barthes, riferita alla ritratto di Lewis Payne ne La camera chiara.  Facebook sarà vista come una immensa istantanea, dove ogni post, ogni riga di testo e inserzione rappresentano i pixel sensibili di un sensore o i granuli d’argento della pellicola. Vedremo quell’istantanea con la stessa lucida illusione della fotografia di aver catturato la realtà, il vero! Tornando a Scianna e a agli impulsi rimandati, la fotografia ha accelerato quel processo di comprensione dell’identità e quindi della coscienza. In poco più di 150 anni abbiamo fatto uno scatto in avanti nell’elaborare un concetto arcaico quanto l’uomo: l’immagine di sé fuori dal sé. Siamo progrediti enormemente in tal senso e questo grazie alla fotografia, che arriva all’uomo quando più ne sente necessità (Gli uomini scoprono ciò di cui hanno bisogno, cit. Alberto Savinio). Tuttavia, sulla scala del Tempo restiamo ancora Homo Sapiens. La comprensione del Tempo, della gestione del nostro tempo, credo sia fondamentale per riconnetterci alla nostra immagine, a quella coscienza ora ubriacata che non si riconosce, come il mito di Narciso. Trovo necessaria questo abbraccio per non continuare a voler somigliare tutti a tutti, per individuare la propria unicità ed esprimerla senza inserirsi nella corsa per diventare Artista a tutti i costi. Stiamo viaggiando vicinissimi ad un buco nero, dove il concetto di Tempo è relativizzato (la sincronicità qui con il film Interstellar). Lasciamo indietro i nostri cari a mandarci messaggi che ci giungono con un tempo diverso. E se nel film il dazio è la scoperta di un nuovo mondo possibile da abitare, qui, nella realtà,  ci stiamo allontanando dall’unico non ancora esplorato: noi stessi.

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