mercoledì 27 giugno 2018

L’aborto fotografico

Sono fortemente attratto dai paradossi verbali (che poi sono paradossi di logica).
Uno dei miei preferiti è : “Se un albero cade in una foreste e non c’è nessuno intorno, quella caduta produce rumore?”

La disquisizione filosofica crea due fazioni distinti e io mi allineo a quella con risposta No!
Per una ragione precisa.
In questo caso metto da parte il mio amore per la fisica quantistica e difendo l’amor per il creato umano.
Anche i sentimenti, ovvio!

Molti anni fa provavo attrazione verso una ragazza. Non mi filava e i miei timidi approcci non mi aiutarono, anzi! la allontanarono finanche che scelse un altro.
A quel punto il paradosso dell’albero era il mio costante pensiero.
Le scrissi una lettera (lettera, non mail, sms!!!) Desideravo, a quel punto, solo che lei fosse a conoscenza di quello che provavo, “senza nulla pretendere”. Volevo che il suono della caduta dell’albero fosse anche solo avvertito. E lei seppe di quel suono. E credo che ne fu contenta.

Il desiderio collettivo, attualissimo, del voler essere protagonisti in un qualcosa e condividerlo, avere consenso e mostrare almeno una qualche personale abilità, ricalca a mio parere il paradosso dell’albero.
Si desidera non cadere nell’oblio del nulla esistente e fare in modo di produrre almeno un suono che qualcuno possa udire così da accertare la propria esistenza. Sennò, niente.

Io produco fotografie. Le mie, senza di me, non esisterebbero.
Questo, mi permetto di dirlo (scrivere), fa di me un fotografo.
Attenzione: non un medico, un analista, un guaritore, un poeta, un artista…
Elenco solo di effetti collaterali, conseguenze.

Fare fotografie. o Prendere fotografie.
La fotografia ha un imperativo per me: essere mostrata!
La percentuale del pubblico è variabile da uno a tutti quanti è possibile o si desidera.
Le fotografie non mostrate sono alberi che cadono e non c’è nessuno ad ascoltare il suono della caduta: non esistono.
Peggio: sono aborti!

Io, le mie, non le voglio abortire. Mai più!

Ne ho molte chiuse che ancora non hanno visto osservatori.
Molte che mi è stato chiesto di fare ma di non mostrare (svariate ragioni)
Altre che io stesso continuo ancora a difendere nel silenzio.

Ma un giorno i miei archivi verranno aperti e si comprenderanno due cose fondamentali.
Nell’ordine:

1) che fino a quel momento non si avrà capito un cazzo

2) non ci sarò più già da un pezzo.

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