martedì 25 gennaio 2011

Anna e Francesca

Era mezzanotte passata quando ieri ho finito di leggere il libro.

Mi sono raffreddato, niente di che, ma da due giorni ho quella voglia di fare nulla come alleato del virus. Avevo gli occhi stanchi di giornata, la fronte pulsante a furia di tirar su col naso e una voglia calda di letto e sonno. Ma mancavano le ultime 70 pagine. Le ultime pagine in un libro sono tutto. E' il congedo. Quelle persone che hai conosciuto e che non esistono stanno per andare via. Perciò mi sono abbandonato al rito delle ultime pagine.
Ogni volta che finisco rimango sospeso. Provo tristezza, ieri mi sono ricacciato le lacrime in gola perché non ci si può commuovere da raffreddati: troppo muco da gestire. Poi passa la sospensione, chiudo il libro, mi concentro su un rumore vero e riemergo da matrix.
Le immagini rimango per un po', possono durare giorni. La mia mente ha girato il film di quello che ho letto e me ne mostra i fotogrammi.
Ecco.
Sono punto e capo. Fotogrammi. Fotografia.

Sto perdendo un po' il punto di vista. C'è una così tale sovrabbondanza di input a cui rispondere e dare un senso che lentamente si smette di guardare quello che abbiamo intorno. E l'universo intorno ce l'abbiamo tutti. Non mi ricordo l'ultima volta che ho guardato la luna piena, da quando non guardo le stelle, non ricordo più le mani di mia madre, di mio padre, non vedo i cambiamenti nelle mie sorelle, quelle dei nipoti che crescono, non saprei descrivere la forma delle piante grasse che ho in studio, i colori dei vestiti delle persone con cui ho parlato oggi, la faccia del corriere che mi ha consegnato il pacco, l'espressione dell'anziano fuori l'ospizio che fumava appoggiato al muro di casa, la geometria che fa l'aiuola qui a piazza Santa Teresa dove passo ogni giorno…
Il fotogramma finale del libro mi ha costretto a riguardare nel mirino, a soffermarmi sulle cose e osservarle. Come si fa qua si deve scattare una fotografia.


Silvia Avallone - Acciaio
della Rizzoli

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