lunedì 2 maggio 2011

tsunami

Mi hanno preso in giro, ho lasciato che accadesse. Ho creduto ai film, le serie animate dei manga, agli effetti speciali. Hanno raccontato di tsunami apocalittici e mari dominanti commettendo tutti lo stesso errore: l'acqua non resta pulita al contatto con la terraferma. Diventa melma, trascina detriti, distrugge, sommerge, spezza, ammassa, sporca, rovina, uccide. Quel che resta non è il mondo di Conan di Miyazaki. Resta il fango, nuove isole alla deriva fatte di resti di città, i segni di quella poltiglia fangosa che a levarla di dosso ci vorranno anni.
Tsunami è come mi sento. La parte lesa. La fotografia era un'onda pazzesca, fatta di smeraldo e schiuma, di libri e foto quotidiane, di quella passione che ti ubriaca e non ne avverti la sbronza, fatta di riviste, scoperte, e poi i blog ed internet ad alimentare sempre più il muro d'acqua, una centrifuga assurda di ideali che forse riesco a sfiorare, non sono la luna, la posso cavalcare quest'onda, è fatta di metri; poi ci sono le regole, quelle che conosci e ripeti e basta crederci o saperle per essere protetto, come un "il fumo uccide" su una scatolina bianca e rossa; i trentasette anni di consapevolezza che se ci finisci dentro a quest'onda qualcosa d'acqua la dovrai bere, saprà di sale e alghe, la ingoierai puntando alla superficie e aspetterai una nuova. Ma cazzo berrai smeraldo! Invece è Tsunami.

Mi hanno preso in giro o io ho lasciato che accadesse. Non c'è mare in quello che sto vomitando: è fango. Le regole sul ritratto, come edificare gli affari della propria attività fotografica, come si affronta un set, i doityourself creativi, gli elenchi di post autoreferenziali con i tips su come ho fatto, i contatti blasonati ed istruttivi, schiuma e smeraldo che si impasta con l'asfalto e la terra piena di carcasse. Ho il rigetto della fotografia, e la concludo qui questa metafora.

Ho consegnato un lavoro. Il cliente, in un eccesso di gratitudine, mi ha abbracciato dichiarandosi sul punto di commuoversi. Ho restituito un grazie troppo serio, secco e da manuale di dizione. Ho ripensato a tutto quello che c'era dietro quel lavoro. Pianifichi tutto con la ferma intenzione di seguire ogni regola, trucco o istruzione appresi, ripeti le tabbelline per benino perché ti vuoi godere quello che si racconta su essere fotografi, invece capita che una farfalla ha sbattuto le ali dall'altra parte del pianeta e stai risolvendo meglio che puoi con tanti saluti ai manuali. Non ricordo nulla del set, della modella, di come stavano le luci, cosa ho detto e le mie azioni di quel giorno. Restano delle foto per un catalogo ed un cliente che stamattina mi abbraccia con sincerità. Sono uscito che ero triste. Dov'è finito il mio momento di egoismo fotografico? Quello dove scelgo quando è l'attimo in cui spingere fino in fondo il pulsante di scatto? Quel click che è orgasmo? Ho una persona gratificata da quello che ho fatto, ma per quanto ricompensato fino all'ultimo euro, non ho niente che appartenga a me soltanto.
Questo senso di vomito fotografico lo provo da qualche giorno. Sto ascoltando in silenzio internet. Non capisco cosa mi stia succedendo. Le nuove foto delle persone che piacevolmente seguo mi lasciano indifferente: le osservo e ne ammiro gli stili ma non c'è sorriso o piacere che passi da me. Per non parlare di una mostra che hanno allestito nel centro a cui ho superficialmente posato lo sguardo decretandola inutile.
Ma cos'ho? Questa parte della storia non me l'ha mai raccontata nessuno.

2 commenti:

  1. A volte attribuiamo a ciò che amiamo responsabilità e colpe che non sempre hanno, semplicemente perchè sono la parte più intimamente e visceralmente legata a noi. Capita spesso con le persone che ci stanno a fianco, può capitare con una passione talmente forte che veicola ed assorbe le nostre emozioni più profonde. Forse la fotografia non c'entra niente, forse è solo un veicolo, un tramite per far emergere un disagio che arriva da più lontano.

    Può essere che abbia scritto cose poco inerenti con ciò che stai attraversando, ma il tuo post mi ha colpito e mi è venuto naturale lasciarti un segno. Diciamo che per un attimo mi sono seduto accanto a te ad osservare il mare.
    Ciao
    Fabio

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  2. no fabio, quello che hai scritto è sostanziale e giunge a rinforzare una tesi che trascuravo perché abbagliato da altro. Te ne sono grato, per quanto poco utili possano essere le mie parole rispetto ad una stretta di mano o un abbraccio che ti restituiscano il giusto ringraziamento.

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