Ho messo da parte un po' i miei libri in questo periodo, ho una decina di titoli prima del nuovo saccheggio alla feltrinelli. Però sto leggendo. Comprai dei testi in inglese che mi serviranno anche per prepararmi all'esame a dicembre e, su segnalazione di un post di Sara Lando, il volume di John Harrington, questo di 500 pagine in un bel inglese-americano; almeno terrà occupato me e lontane le mie economie dalle librerie. Sono solo a pagina 10 e temo mi sarà difficile gestire l'ansia da conoscenza di cui sono ammalato, saperi di cui il libro è pieno. L'ultimo paragrafo letto è "Sapere quello che non sai". Così come suggerito da Harrington l'ho riletto più volte per avere, intanto per me, la certezza di aver tradotto bene e poi per metabolizzare il concetto. Ho avuto un breve momento di autocompiacimento quando mi sono reso conto che qualcosina forse la sto azzecando in quello che faccio, almeno sul piano delle decisioni, meno sul pratico. Ma non dispero, così come usa ripetermi la mia prof di inglese "Nicola sei allo stadio di un bambino che inizia ad articolare le sue prime frasette sciocche, c'è tempo per le complicazioni da adulto" , è bene che accetti di crescere a velocità "umana". Così stamattina non avendo nulla di divertende da fare ho tirato giù la mia bella lista di cose che non so parte uno, si perché non avendo fatto colazione il cervello si rifiuta di mostrarmi tutto e mi toccherà aggiornare la lista in un secondo momento. L'ordine non segue nessuna logica se non quella delle mie psicosi, perciò non infierite.
1) Non so come si prepara un portfolio da presentare ad un'agenzia
2) Non so contattare e approcciarmi a persone che potrebbero farmi da modelli
3) Non so trasformare un'idea creativa in foto
4) Non so calcolare bene i guadagni rispetto alle commissioni di lavoro
5) Non so usare programmi che potrebbero essere utili al mio lavoro
6) Non so distinguere un buon cliente da uno che mi farà perdere tempo
7) Non so come promuovermi
8) Non so cercare nuovi clienti
9) Non so gestire le luci da studio
10) Non so dire di no quando un lavoro mi può creare più problemi che guadagni
11) Non so gestire il mio tempo per ottimizzare il lavoro
12) Non so fare squadra
13) Non so leggere le fotografie nel senso comunicativo
14) Non so decidere quale stile fotografico più mi rappresenta
15) Non so spiegare il mio pensiero fotografico
16) Non so spiegare le mie foto
17) Non so nulla di come funziona il mondo della fotografia a certi livelli
18) Non so quanto tempo mi occorrerà per risolvere questi "Non so"
Comprai delle bretelle la scorsa settimana. Erano le nove di sera e i negozi stavano chiudendo. Poi me ne andai in studio, misi su una playlist, quelle che vanno bene col vino e i ricordi, e le indossai.
La scorsa settimana c'è stato uno di quei vuoti cosmici nel flusso della giornata lavorativa, una mattinata da riempire. Sono andato verso lo studio con l'intenzione di ricreare uno scatto di William van der Steen visto mesi fa in un suo tutorial e che durante la notte è riapparso suggerendomi varianti creative, le quali varianti però avrebbero richiesto più tempo di quello che potevo dedicare quella mattina. Studio allora.
Lo scatto non presentava apparenti difficoltà, pochi tocchi di photoshop e l'idea materializzata nella mia mente aveva anche un senso. Ho comprato dal fruttivendolo il casco di banane che mi servivano, le ho scelte con attenzione trattenendomi dal rispondere al venditore che insisteva sulla bontà del frutto, e spiedini e stuzzicadenti dal minimarket. Dopo la prima ora passata a cercare di far stare ferme le rondelle di banane nello spiedo ho capito che:
1 esiste la legge di gravità 2 le banane sono umide 3 gli stuzzicadenti possono pungere 4 mi impegnerò a non pensare più "è facile, che ci vuole" 5 posso ritornare a mangiare le banane
Dico questo perché una volta tagliate le rondelle a banana sbucciata dovevo inserire lo spiedino, operazione riuscitissima fino a quando non ho sollevato il tutto per sistemarlo sul set. Le rondelle, ben equidistanti, hanno preso a scivolare lentissimamente verso la base. Al mio tentativo di risistemarle l'hanno rifatto. Ormai il foro di origine dello spiedo si era allargato. E' seguita una serie nuova di fori con conseguente rotazione delle rondelle sull'asse spiedo, con tanti saluti all'allineamento, e l'inserimento di un secondo stuzzicadenti per rondella. La scena successiva e di me che mi sto mangiando la banana suddetta e ad oggi non si è ancora vendicata col mio stomaco. Ci ho riprovato, tanto avevo cinque tentativi. Il risultato migliore è quello qui sotto.
Lo scatto è il raw uscito dalla macchina. In post produzione ho assegnato il profilo fotocamera - avevo fatto una foto con il color checker prima - e aperto il file in photoshop. Il passo successivo è stato pulire gli spiedini, ridare distanza alle rondelle e rifinire i toni. Per controllare che non ci fossero macchie impercettibili sullo sfondo ho creato un livello regolazioni dei Livelli e abbassato i medi. Ho scoperto macchie sul cartoncino e altre dovute al ritocco. Finita la pulizia il livello non mi serviva più.
Mettendo accanto le due immagini, quella di van der Steen e la mia, anche mia nipotina che stravede per me sceglierebbe la prima. Ho segnato i punti che ritengo essere motivo di un'immagine sbagliata.
Nell'immagine di van der Steen la buccia visibile non tocca il limbo, rendendo la banana stessa più leggera, diversamente dalla mia, che con i lembi della buccia in quel modo dà più un senso di appoggio, di fatica. Le rondelle della prima immagine seppure non equidistanti mostrano una traiettoria precisa, una curva che non aggredisce, che spiega bene l"esplosione", cosa che non vedo nella mia, dove le rondelle si mostrano incerte su dove andare e quale profilo mostrare. Il terzo aspetto penso sia il più importante: la mia immagine è volgare. Proprio a causa di una iperbole disordinata, di una sommità che punta in alto, l'associazione a stereotipi fallici viene facile. Quando me ne sono reso conto ho provato a far cambiare direzione alla punta col risultato di accentuare ancora di più quel concetto. Devo però dire che non sono mai partito con l'idea di fare una copia perfetta della foto di van der Steen. Il risultato che ho ottenuto si sintetizza come ben disse Thomas Edison davanti ad un suo ennesimo tentativo andato a male: Non ho fallito! Ho scoperto un altro modo per non raggiungere la meta.
Se a qualcuno vien da dire cos'altro nel mio scatto gli suggerisce l'idea di sbagliato, può condividerlo.
Mio caro, sono circa un paio di giorni che ti trascini un umore di quelli che pensavo facessero parte di quegli anni in cui pensavi di non essere in grado di fare un cazzo e che ti hanno fatto perdere giorni di entusiasmo e scavato i segni di quelle rughe che adesso inizianoa venir fuori. Il perché io lo so, diciamo che anche tu lo sai ma ci stai girando intorno e non lo vuoi dire apertamente. Ma visto che mi hai tirato in mezzo, facciamo questo partita a due e vediamo quello che ne esce. Comincio io... sul voler andartene mi sembra sia la stessa storia, va bene qualche cosa è cambiato ma il nocciolo resta lo stesso. Quello che ti ttattiene non sono i legami e lo sappiamo, la situazione a casa non è un legame ma una scusa alla tua paura, ti ricordo che avevi la stessa paura quando dovevi lasciare il lvoro per fare il fotografo e non sapevi come dirlo e quali reazioni avrebbe portato. Sei rimasto quasi deluso che non è accaduto nulla. Vuoi paetire? parti allora, pianifica, informati, scegli ma non torturarmi più con questa storia dei legami. Problema dei soldi? Vent'anni di officina ti sono bastati a renderti capace a raccogliere anche gli escrementi delle formiche, semmai ci fosse bisogno di un lavoro del genere lo puoi fare, e non è che raccogliere escrementi deve poi diventare il tuo lavoro,: abbiamo parlato di trovare soldi per vivere. Sulla creatività. Daccordo qui il discorso è più complicato nel senso che che è talmente una cazzata che non so spiegartelo. Ti ritieni creativo? se si cosa ti manca? attrezzature? spazi? modelli? se pensi che sia questo allora non sei creativo e fattatene una ragione vediamo come risolvere. un suggerimento: inizia da qualcosa che già esiste e reinterpretalo, guarda che non è reato, non è vero che oggi vale solo l'idea figa, questa cavolo di accellerazione delle cose, del tutto bello, di volersi distinguere ci sta facendo perdere il sonno. Ad arrovellarti il cervelllo a trovare lo scatto giusto ti stai perdendo anche quello a portata di mano. La lingua. L'anno scorso in spagna, un posto di cui non conoscevi la lingua, ti sei fatto 1300 km in macchina da solo, hai prenotato stanze in una lingua che non conosci, hai mngiato chiedendo cibo in un lingua che non conosci, chiesto informazioni in una lingua che non conoscie e porca puttana ci sei stato due settimane e sei sopravvisuto. Ora, ottobre è un anno che studi inglese. Rispetto allo spagnolo che era zero mi sembra che con l'inglese almeno a uno ci sei. Ma tanto non è uno, è di più ma vuoi un po' di coccole. Vaffanculo! Dopo i legami, i soldi, la lingua a me sembra che argomenti forti con cui controbbattere non te ne sono rimasti molti. Se poi il rumore di fondo che senti non è solo il voler andare allora deciditi anche su quell'altra cosa, che tanto anche lì sono solo motivi di comodo che hai. Non ho nient'altro da dire. Fammi una cortesia: fatti una risata e la prossima volta fa che ci sia una ragione seria. Ah, se rileggi o sposti una virgola di tutto questo non ha proprio senso risentirci.
Ieri sono andato al cinema. La sala è stata chiusa per ferie e non c'era un granché da vedere altrove nelle settimane precedenti. Avevo voglia di poltrone e dell'aria secca del cinema. Poi non ho dovuto combattere molto con la mia infantile voglia di film per ragazzini, vince sempre lei. Alle nove e qualcosa ero in sala ad aspettare l'inizio de "L' apprendista stregone". I motivi che mi spingono a vedere questo genere di film sono validi perché efficaci su di me, magari un giorno lo spiegherò meglio. Del film ormai ricordo solo qualche effetto speciale, ma qualcosa di più profondo si è insinuato dentro ed è successo mentre vedevo il film. Sì, qualcosa è in opera, la bolla sta muovendosi in cerca dell'esatta verticalità. Ho la mano che mi trema ancora, il corpo pigro, la testa sempre in guerra, gli occhi ancora da educare, ma va bene, vuol dire che mi sto muovendo e l' idea di una meta che prima mi ossessionava adesso mi spaventa sempre meno. Anzi comincio a pensare che non la voglio una meta, non quella scontata del raggiungimento professionale che rischia di tradursi in me in appiattimento e noia. E' la cosa che temo di più. L'altra sera stavo cercando una scusa per non mettere in ordine dei file, di dormire neanche a parlarne, leggere con la lampada da 25w puntata nei pressi dell'orecchio sinistro a contribuire a farmi evaporare nel forno della mia stanza proprio non mi andava. Internet allora. Nell'intervista di Barbara Zonzin a Sara Lando il piacere maggiore credo di averlo provato scoprendo quel lato fragile che accomuna tutti quelli che la strada la percorrono in salita. Di persone che amano il proprio lavoro ne ho conosciute pochissime. Sono andato a letto tardissimo addormentandomi su quello che desideravo fare. Mentre aggiornavo il sito stamattina, mi sono soffermato a rileggere la frase su "about me" dove "…ho scelto la fotografia come mezzo per comunicare". In realtà non lo sto facendo. Mettiamo da parte il lavoro, ma quella parte di foto che dico di "fare per me", quanto è vera? Finora ho scattato si ma cosa? Sono stato un mezzo, come le macchine che uso, ma quello che ho in testa l'ho mai trasformato in foto? Ho fatto ritratti, documentato eventi e storie da un paio di carceri, cartoline di viaggi, istantanee. Qualche settimana fa ho conosciuto Gaetano Lo Porto, un fotografo da un passato fotogiornalistico di tutto rispetto e che oggi si occupa di advertising. L'ho incontrato e intanto che presentavo me e quello che faccio mi sono reso conto che non riuscivo a esprimere il mio fotografare più intimo. La domanda del direttore Sandro Iovine perché si fotografa? pensavo fosse in me, grazie a questo episodio ho smosso di nuovo un po' di polvere. Nei giorni scorsi ho tracciato su fogli da notes schizzi di progetti che vorrei che prendessero luce. Il progetto Insonnia credo sia stato veramente il primo. L'ho caricato sul sito non convintissimo che fosse concluso, ma non volevo neppure trasformarlo nella snervante ricerca della foto giusta. Dico che è stato il primo perché c'è stata una fase preparatoria, ho fatto degli scatti che mi servivano da studio, le trovate qui, mentre le vedevo e sceglievo i toni in post produzione mi sono accorto che la ripresa dall'alto avrebbe avuto più senso. Dovevo però risolvere il problema di come sistemare la macchina per inquadrare il divano letto dello studio dall'alto. Ho costruito un'asta sistemata su due stativi con un asse di legno comprata al brico e una piastra di metallo che ho saldato personalmente (e in modo terribile) nell'azienda dove prima lavoravo. Ho fatto anche foto e video del making of, per poterlo così condividere qui, e poi sono arrivati gli scatti. Negli studi avevo notato un particolare che sarebbe stato importante ripetere negli scatti ufficiali: l'effetto post dormita. Essendo lo studio nel centro storico e luogo fresco di suo, quando sistemai il set per gli scatti di prova fuori c'erano più di trenta gradi e il sole a ore tre del pomeriggio. La tentazione è stata forte e ho ceduto. Pisolino, che è diventata dormita che è degenerata in senso di colpa al risveglio. Però quel senso di fiacca mi ha aiutato a dare una parvenza meno finta alle immagini. Così quando ho riallestito il set per gli scatti con l'inquadratura sistemata mi sono fatto una sana dormita prima con buona pace della mia mala coscienza. Naturalmente un prezzo da pagare doveva esserci e io l'ho pagato in lucidità, dimenticando in uno spostamento del piano focale la cinghia della macchina appesa, finita giustappunto nell'inquadratura e rovinando una serie di 51 scatti di cui alcuni meritevoli. Questo è un avvertimento per quando finirò nel girone dei dannati per pigrizia. Questo processo però mi ha entusiasmato. E come l'apprendista stregone ieri, comincio a desiderare di mettermi in gioco seriamente, meglio di prima. Dovrei avere ancora dei giorni più soft a disposizione, saranno utili. Di seguito le quattro immagini di Insonnia, e ancora più in basso, forse, qualche vostro commento.
Non di rado mi capita di vivere situazioni in cui tutto sembra ruotare intorno ad uno stesso argomento, come se la macchina delle situazioni fosse sincronizzata a mio favore. Non che questo mi porti ricchezza e agio, insomma vivo sempre allo stesso modo, così come so che queste strane coincidenze alla fine tanto strane non sono, ma quando accade fa un certo piacere. Avevo qualche settimana a disposizione, niente vacanza però. Così ho riempito questi giorni con progetti personali e studi. Tema: il mio corpo. Era giunta l'ora dell'autoscatto. Quando si tratta di creare per me ho un personalissimo, e non credo originalissimo, modus operandi: l'ozio. L'idea allo stato embrionale era appunto il corpo - quello mio - ma dovevo dare forma a questa idea e concretizzarla in scatti, inquadrature, luce, concetto. Così ho fatto quello che non devo fare quando ho di questi momenti e cioè pensarci. Non credo mi vedrete mai con la testa appoggiata alle mani nell'atto di riflettere e partorire il lampo di genio. Facile invece che mi troviate a passeggiare per la città senza meta, a girare per centri commerciali e brico center senza comprare nulla, a osservare per ore la gente che mi passa vicino assumendo una faccia da idiota, ad andare al cinema o a teatro, a stare insomma in mezzo al mondo affollato, farmi bombardare da azioni, voci, ritagli di discorsi, suoni, "fotografie" urbane e viverlo come se fossi invisibile a tutto ciò. Poi aspetto che arrivi sera e torno a casa. Metto su una play list lunghissima di brani e, cuffie e disteso sul letto in posizione di rilassamento, con gli occhi chiusi, faccio partire iTunes. Finora ha sempre funzionato e già dal quarto o quinto brano iniziano a materializzarsi immagini - dieci giorni fa record: a metà della prima traccia, un "Preghiera in gennaio" di De André, avevo chiaro un intero progetto - Così è nato "Insonnia" e in realtà molto altro ancora che deve essere fermato su carta e suddiviso. Naturalmente c'è una controindicazione a questo modo di fare ed è la perdita di controllo sull'ozio. In questa estate di calura poi il demonio è dappertutto. Sensi di colpa a parte credo di stare a resistere ottimamente. Sempre in questo periodo sto leggendo "L'uomo dei cerchi azzurri" di Fred Vargas e la descrizione del protagonista somiglia incredibilmente al mio modo di fare di questi giorni: pigrizia latente, intuito, le cose accadono. Stamattina poi avevo un solo appuntamento in studio e visto che il cliente ritardava sono andato a leggere il post su Fotografia: Parliamone di Sandro Iovine. Come sempre post interessante e catalizzatore di discussioni costruttive. Oggetto del post la scelta della copertina su foto della fotografa Debora Barnaba. Ho letto il post, i commenti e poi ho visitato il sito della Barnaba. Non ho idea del periodo di realizzazione del lavoro "Kissing" di Debora Barnaba, il mio "Insonnia" è freschissimo di giorni ma per quello strano fenomeno che dicevo all'inizio mi sono sentito elettrico, simile ad un punto in una fitta rete di collegamenti neurali che viene stimolato dal linguaggio comune della fotografia. Consiglio di leggere il post e relativi commenti. Durante gli scatti di Insonnia mi sono costantemente chiesto quanto potesse risultare volgare questo o quello scatto, quanto poteva disturbare ad un osservatore, quanto frainteso, ma avermi posto questi interrogativi non mi ha bloccato ne frenato o auto censurato. Ho l'impressione di capire il perché del lavoro di Barnaba semplicemente per un'affinità intellettuale, per il piacere di comunicare un'idea liberata da pregiudizi, costume, tabù, pudori ma, ahinoi, purtroppo ancora torturata. Le immagini di Debora hanno l'intelligenza della ricerca, la pulizia fatta di essenziale, il gusto femminile per il corpo femminile. Scatti privi di suono, di parole, a maggior ragione quindi urlano la propria forza. Una sua foto è spegnere i rumori del mondo, tu che ti giri a vedere cosa accade e trovare lei, che, con garbo, ti avverte del suo esistere.
Ps. Lo scatto in alto è un particola tratto dal progetto Insonnia, ancora da ultimare. Per le foto di Debora Barnaba dovete visitare il suo sito e quindi i suoi lavori. Non vi costa nulla, vi ho anche messo il link.
C'è stato un periodo della mia vita che mi sorprendevo per tutto. Un periodo lungo in realtà che reputo sia finito con la fine dell'infanzia. Il termine sorprendere tuttavia era molto di più rispetto al suo concetto letterale, tanto da includere affascinarmi, incuriosirmi, eccitarmi, commuovermi. Poi è accaduto qualcosa nella mia vita e parrecchio è andato perso. Lo ricordo solo se mi dedico il silenzio assoluto attorno a me e un bisogno poetico di rivivere quel tempo; quindi quasi mai. Era un altra era della mia vita quella e nel decennio fra i venti e i trent'anni ho spesso ripetuto a me stesso e agli altri che ormai non mi sorprendevo più un granché. Mi sa tanto che mi sono sbagliato. Quando la settimana scorsa ho terminato di leggere il libro di Francesco Carofiglio "L'estate del cane nero" una frase ha continuato a girarmi per un po': Quando si è piccoli si ha una percezione grande di tutto quello che ci circonda. Lo sapevo, come al solito ho ritrovato parte della mia infanzia anche in questo libro. Così ho riflettuto sulle percezioni e a come cambiano. Mi sa tanto che non ho mai smesso di sorprendermi, nel senso largo a cui mi riferivo prima. Non sarei qui, non farei quello che faccio. Sono cambiate le visuali e questo mi conforta in alcuni momenti e mi spiazza in altri. Vedo delle cose con occhi da adulto ora ed è un bene se mi commuovo davanti a delle foto che anni fa mi avrebbero lasciato indifferente, se mi incuriosisco osservando i lavori di artisti e ne godo, per quanto afferabile ora dalla mia "maturità" fotografica, della tecnica, della lettura. Ieri ho lasciato un commento sul blog di Settimio Benedusi riguardo a delle foto che avevano suscitato il mio interesse sebbene il soggetto non goda del mio entusiasmo.
Nello stesso giorno, a distanza di qualche ora poi, scopro il lavoro di Lorenzo Poccianti e per me che ho avuto una fase precedente alla fotografia dove mi sono appasionato di pittura e disegno non potevo non sorprendermi. Pocciani realizza quadri, che sono fotografie, che sono quadri. Non so spiegarlo diversamente. Avevo incontrato sul web qualche tempo fa altri che si cimentano in una cosa simile ma Pocciani mi ha stupito per precisione e gusto. Ricrea ambienti che passano da Klimt a Lempicka, solo per citarne i più conosciuti, con una cura sorpendente per i tessuti con cui veste i suoi modelli, i cui modelli sono in buona parte famiglie nobili e in alcuni casi discendenti loro stessi dei soggetti dipinti nelle opere originali. Mi hanno lasciato con qualche perplessità alcune opere morte di moderna interpretazione, credo però sia dovuto al fatto che non amo le nature morte in sè.
Penso che un giretto sul suo sito valga qualche minuto di tempo.
Ritornando a quello che dicevo in principio... è bello scoprire di potersi ancora sorprendere quando tutto sembra ripetuto e limitato, come oggi, inizio ufficiale dell'estate con una pioggierellina fuori dello studio a ricordarmi quanto sarà tiepido il dopo-studio.
La parola d'ordine in questo periodo è correre. Mio malgrado. Si perché da un lato sono convinto che sia giusto aspettare i tempi fisiologici di una attività che deve crescere, lavorare con costanza nel rispetto soprattutto della propria professione, dall’altro il fattore tempo mi è nemico. Nel percorso che sto affrontando devo imparare a relazionarmi, con clienti e colleghi (quest’ultimi tra l’altro in alcuni casi recenti mi stanno spingendo a cambiare approccio, rendendomi anche quello che non sopporto essere: cinico), trovare lavoro in un contesto economico sfavorevole e uno sociale (la realtà del mio paese) culturalmente non ancora preparato. A ciò, lo dico perché non mi va di addossare la colpa sempre sugli altri, devo esercitare una forte pressione sul mio essere pigro e con voglie da onnipotente per raggiungere uno stato di (almeno) apparente tranquillità mentale. Sono onesto, pensavo sarebbe stato un pochino più facile.
Nei primi mesi ho dato la colpa al denaro. Mi dicevo che per i progetti che volevo realizzare erano necessarie attrezzature e budget che non possedevo, così scrivevo su block notes le idee creative che affollavano la mia massa grigia e promettevo a quel mio piccolo genio fatto di neuroni che quel progetto era solo rimandato. Ne ho rimandati parecchi. Poi mi sono anche convinto che a rimandare sempre la creatività ne risente fino a non “creare" con tanta efficacia nuove idee. Diciamo che ancora ci credo.
Negli ultimi due mesi però ho letto molto (di fotografia) e lavorato poco (di fotografia). Ho spostato di qualche buon grado la mia visione. Per i progetti creativi non servono budget costosi, è chiaro che per quelli super strafighi qualche soldo non guasta, ma la verità è che si possono ottenere ottimi risultati anche con pochi euro. Dimentico in continuazione che la più grande risorsa economica a portata di mano in realtà è a portata di testa, ci sta dentro ed è quella massa di connessioni che dicevo prima. Nei blog che seguo scopro, al di là dei vari fotografi, designer, giornalisti, photoshoppisti, persone che mi insegnano molto, e chissà se hanno la dimensione di quanto sia importante quello che scrivono condividendolo. Nelle ultime settimane Sara Lando è motivo di attenzione e insegnamento. Avevo iniziato a seguirla qualche tempo fa con curiosità ma non c’è giorno adesso che non vado nei feed di google reader a cercare un suo nuovo post. Vale lo stesso per tutti gli altri che ho nei preferiti. Così la mia vita attuale ha sottratto tempo alle letture cartacee e romanzesche dei libri sullo scaffale a favore di quelle digitali e (mono) tematiche della fotografia. Solo la settimana scorsa, in uno di quei miei momenti folli, e per fortuna solitari, dove mi auto commemoro, alla domanda del mio interlocutore coscienza “Quante ore passi davanti al computer?” ho risposto con sorpresa dalle 10 alle 12 ore al giorno. Qui mi sono fermato. Ca##o è tanto! Non lo so, voglio dire che è tanto che una persona stia davanti ad un monitor ma se davanti a questo monitor si studia, ci si forma, si lavora, si legge, si guardano i film (non guardo televisione da anni, ho il mio bel imac 27 pollici e mi stragodo i film persi al cinema con le cuffie a palla) quelle ore hanno un peso diverso. O no? E per non farmi mancare nulla a questi due pesi ne aggiungo un terzo: “ Ma quanto tempo ti resta da dedicare alla Fotografia?” Ho scritto con la effe maiuscola apposta per intendere l’atto concreto dello scatto. Da quando ho aperto partita iva credo di scattare almeno il 40% in meno.
No, non è così che la immaginavo la mia vita da fotografo. Pensavo che da professionista avrei avuto il tempo dalla mia parte. Siamo in movimento continuo, l’ho persino scritto qualche post fa, e cavalcare questo movimento è faticoso. Leggevo stamattina su Jumper.it che una parte della fotografia (quella italiana è ancora agli inizia ma realtà come la germania, l’inghilterra e la stessa america ci navigano da un po') sta sempre più abbracciando e sviluppandosi nel 3D e se non ci si informa si rischia di arrivare impreparati. Questo non vuol dire che tutti i fotografi debbano studiare la modellazione 3D, ma sapere a cosa si va incontro si. E di qui una nuova serie di letture, potenziali incontri o workshop e tanto altro ancora. Ora, per quel dettaglio dell’onnipotenza di prima, io a queste faccende ci vado dietro perché ci credo e ci voglio essere, ma le foto? Quanto tempo mi resta per FARE foto? Gli investimenti che occorrono viaggiano su due binari divergenti che fatico ad allineare: spazio-temporale ed economico. Il primo mi porta formazione e conoscenza, ma ci voglio risorse anche economiche (i jumper camp ad esempio si svolgono a milano e so bene cosa sacrifico sia andandoci sia non andandoci). Il secondo, lo sappiamo bene, ci aiuta a vivere. Mi sa tanto che se per la fine dell’anno non raggiungo il potenziale per permettermi un assistente mi faccio clonare. Scherzavo! Sulla prima cosa intendo, il clone lo voglio davvero!
Due settimane fa, dopo aver fatto degli scatti ad uno spettacolo teatrale, è accaduto che la borsa con denro la macchina fotografica mi sia scivolata dalla spalla finendo sul marciapiede. Non ho dato importanza all'accaduto perché la botta non mi sembrava giustificare un qualsivoglia allarme. Quando sono rientrato a casa volevo scaricare la scheda e mettere al sicure i file. Prendendo la macchina ho sentito un suono di vetri rotti che non mi spiegavo. Ho realizzato in una frazione di secondo e con una lentezza assurda ho tolto il tappo dell'obiettivo. La lente del filtro era rotta in più punti e i cocci, incastrati nell'anello, cercavano una via di fuga. Mi sono seduto e credo di aver iniziato a parlare da solo. In realtà pregavo. Dovevo togliere i frammenti del filtro per vedere se anche la lente dell'obiettivo aveva subito danno. Per mia fortuna era intatta. Ho benedetto il filtro, che mi ha salvato un 24/70 serie L della canon. A distanza di due giorni mi aspettavano dei lavori importanti e sarei stato davvero in difficoltà in assenza della lente. Solo oggi, grazie all'aiuto di una amico orafo e dei suoi strumenti di precisione, siamo riusciti a rimuovere la ghiera del filtro che, deformata dal colpo ricevuto, non ho tentato di svitare da solo quella sera per timore di peggiorare la situazione. La settimana scorsa poi ho aiutato un mio amico fotografo durante un servizio matrimoniale e nel pomeriggio la sua lente ha dato forfait. Mentre lui malediceva divinità a me sconosciute mi sono ritrovato a pensare a cosa sarebbe successso se non ci fossi stato io, ma soprattutto se una cosa del genere fosse capitata a me e mi fossi trovato da solo.
Proteggere la propria attrezzatura è indispensabile, ma salvaguardarsi da eventi non controllabili dovrebbe essere prioritario. Per questa ragione ho munito le mie lenti di filtri sin dal loro acquisto e per i lavori importanti fuori sede non trascuro mai di portarmi, oltre ai due corpi macchina, anche una Powertshot che all'occorenza può salvarmi le penne da figuracce. Beati siano i filtri!
Photoshop è uno strumento magnifico, non un arma di distruzione di massa. Quando fu inventata l'automobile nessuno, forse, pensava che potessero diventare potenziali strumenti di morte, come accade in caso di incidente. Lo stesso vale per il più importante strumento di fotoritocco. L'uso dal mio punto di vista è legittimo. Mi è capitato spesso di sentirmi dire, davanti a delle mie fotografie, se per caso le avevo ritoccate. Che significa? A me non verrebbe mai di dire ad una donna che mi sta difronte e che trovo piacevole se prima di uscire si è truccata. Non ha senso. Mi piace quel risultato che ho difronte in quel momento. Stessa cosa per la foto: se mi piace ha davvero importanza che sia stata ritoccata o no. Non voglio entrare nello specifico della fotogiornalismo, quello è un settore a parte. Ma tutto il testo può starci. Ho conosciuto persone che pur di non usare photoshop hanno archiviato migliaia di file in hard disk che nessuno vedrà mai, per cosa poi, per sentirsi dire, se capita, di aver scattato la foto perfetta senza ritoccarla. ma per favore! A queste persone mi verrebbe da rispondere se sono mai stati o se sanno come si lavorava in camera oscura. Quello che fa oggi photoshop lo si faceva prima con la pellicola, solo che oggi si ha uno strumento più potente. La mascheratura, le curve, i viraggi, le vignettature e persino i ritocchi minuziosi sul negativo fatti da mani precise e scrupolose erano una consuetudine. Ammetto che possono esserci dei limiti, i limiti del buongusto, che spesso si fanno passare per creatività o arte. Una cosa che non riesco più a sopportare ad esempio è vedere la pelle delle donne come delle bambole. Fossero le immagini di Oleg Duo o Christophe Gilbert o altri artisti, tanto di cappello, ma basta col rendere la pelle di marmo sempre e a chiunque. E a proposito di questo, se davvero volete ritoccare un viso e lasciare la sensazione di naturale bellezza, cercate di non cancellare i pori. Un altro tipo di foto di cui non ne posso più è vedere ritratti in bianco e nero con i soli occhi lasciati a colori: qualche anno fa era bello, ora lo può fare pure mio nipote ed è straordinario quanto i fuochi d'artificio ad una festa di matrimonio. Per chi poi ama scontornare l'immagine della propria fidanzata e inserirla su una spiaggia paradisiaca, o chi utilizza tre o più filtri in ordine casuale e vediamo quello che esce (tipo acquerello, solarizza, texture, gradienti), o ancora chi non sapendo di quali colori sono fatte le cose gli danno una personale identità, a queste persone mi viene da dire che se siete arrivati fino a questo punto allora potete fare molto molto di più.