È trascorso un po' di tempo da quando ho visitato una mostra. Un intervallo troppo lungo, un vuoto che adesso si fa sentire. Mesi fa lessi un post sul blog di F64 dove Francesca osservava che di tutti i blog che in un recente passato frequentava, di alcuni non aveva più aggiornamenti, di pochi resistevano tracce e altri li aveva addirittura dimenticati. Uno specchio in cui rividi anche me.
Leggevo molti blog nei primi anni di questo decennio. Era come andare ad un museo, ad una personale, un'esibizione. Non mi aspettavo di trovare arte ma punti di vista, posizioni, il dietro le quinte di idee. Mi sono sempre formato così: osservando gli altri e cercando di prendere quello che poteva poi vestirsi su di me come un abito ritagliato su misura. Un lungo lavoro sartoriale che ad oggi ancora non mi restituisce l'abito finito.
Quello che prima cercavo nei blog ora lo cerco nei libri. Anche le mie relazioni sono interessate da questa necessità. Ho un forte bisogno di nuovi incontri con cui creare dialogo. La virtualità di internet non mi basta, magari utile solo per quegli approcci geografici che mi collegano a situazioni o persone altrimenti troppo distanti: tutto poi deve avere l'epilogo di un incontro, di sguardi, di voci e dediche di tempo.
Anche la scrittura mi sembra una ulteriore sottrazione a questo bisogno. Scrivo poco, per appunti ormai. Il blog è il luogo della parola scritta: ora sento l'esigenza di un luogo della parola detta.
Ho iniziato un nuovo progetto. Iniziato non è il termine giusto: era sedimentato da tempo e ora l' uovo si è schiuso da sé, naturalmente. Non ha un titolo il progetto, direi quasi che non mi interessa intitolarlo. Sto incontrando delle persone a cui fare dei ritratti. Le ho selezionate sulla base di un mio personale criterio. Ma solo fotografarle non mi gratificava. Alla mia naturale propensione per il ritratto silenzioso, quella seduta che può tranquillamente somigliare al rito di caccia di un felino e della sua preda, ora voglio che l'altro si racconti. E mi racconto anch'io. La parola detta diventa specchio, lo specchio diventa immagine. Ed è quasi sempre la mia che ritrovo pur con il volto dell'altro. Allora cosa accade? Perché questa maledetta magia della fotografia si ripete e mi dischiude un altro pezzo di me inesplorato?
Anni fa ho provato a segnare su foglio alcune domande chiavi, quelle che ipoteticamente avrei ricevuto da un osservatore attento e critico, al fine di anticipare a me stesso le risposte, risposte importanti e chiarificatrici: "Perché fotografo?" "Cosa alimenta il mio fotografare?" "Quale elemento si ripete?" Piano piano alcuni pezzi si sono allineati e le risposte sono affiorate in tempi e luoghi non sospetti, lontani da dove le cercavo, perché come al solito cerchiamo sempre in universi fuori quando la mappa più chiara e giusta è l'universo dentro di noi. In ogni ritratto vedo parti di me che sfumano nell'altro e mi disarma questo nuovo osservarmi, riconoscermi. Riscrivo nuove domande giornalmente e non mi affatico nel rispondermi perché tutto avrà la sua forma, i perché, i come e il resto: la vita ha sempre un movente creativo.
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