lunedì 29 novembre 2010

il salto

Sono più o meno tre giorni che penso al workshop di Milano. Voglio andarci, veramente, non come tutti gli altri che mi sono passati sotto il naso e scomparsi nel nulla. Qui è diverso. Sono tre giorni che ci penso e ho concluso due sole cose: ho paura e voglio farlo. Mi sono fermato a pensare seriamente a questa cosa della paura, mi vengono in mente le facce dei ragazzi dei laboratori di teatro quando devono fare il salto: stanno tutti lì, appiccicati al muro a chiedersi perché non si sono iscritti in palestra invece di stare in mezzo ad altri che adesso vedranno come mi muovo, come farò sto cavolo di salto e lo sbaglierò, che poi insomma che c'entra il salto con il teatro?
La conosco quella faccia, la paura del confronto, la stesso che ho io adesso.

Sono andato a ricaricare la postepay e Barbara mi ha confermato che è arrivato il versamento dell'iscrizione al workshop: tre passi, stacco e atterro. Salto.

Silvia mi ospita a casa sua e lunedì vedo Rosa. C'è un sacco da vedere a Milano, me li perdo tutti, Basilé compreso che ci tenevo per via di "Picchiati". Questa però di "Immagini Inquietanti "ce la faccio venerdì pomeriggio quando arrivo.
Ho messo tutto nello zaino Lowepro: le ciabatte di spugna accanto alla 5d, il pigiama e i calzini tra il 70/200 e i paraluce, compressi; il portatile nello scomparto sopra, avvolto nell'asciugamano, poi i boxer, Carofiglio da leggere, lo spazzolino, la maglia pulita, il lettore di schede, una copia dei check-in on line, quaderno per appunti, alimentatore per portatile, una maglia, questa più pesante perché soffro il freddo, mi vesto a cipolla con scarpe da guerra e speriamo che quelli di ryanair non abbiano le palle girate al controllo bagagli.
La mostra l'ho vista e per la prima volta nella mia vita ho pensato davanti ad una fotografia "sto per vomitare". Gli unici due nomi che conoscevo erano Mapplethorpe e Pellegrin, il primo visto anni fa in un allestimento più appetibile. Come possono delle immagini crude modificare la chimica del tuo corpo?

Da Silvia ho lasciato tutto il casalingo ma i dieci chili sulla spalla si fanno lo stesso sentire fino al civico 12 di via Martiri Triestini.
Eccomi qua: oggi compio 36 anni e faccio un secondo salto. Questa volta è emozione.
Riconosco Barbara, la saluto stringendo la mano e la guardo come si guarda la fotografia di una persona che non hai mai visto. Indovino il viso di Monica e intercetto subito la voce di Francesco. Mi sento a mio agio, tante cose somigliano ai preliminari di ogni corso che ho vissuto. Mi presento a chi c'è e a chi arriva e non ricorderò un solo nome se non lo avrò scritto almeno tre volte da qualche parte. Poi c'è una che non mi pare di aver salutato appoggiata alla colonna, ha le braccia conserte ma si legge la fede alla sinistra, veste una lunga maglia sul prugna e stivali neri, una montatura nera su un viso da ballerina classica o attrice di teatro di ricerca ed io non ho riconosciuto chi, per l'effetto farfalla, mi ha portato lì. La sola cosa imbecille che riesco a dire è: Ma sei Sara Lando?
Non ho capito più nulla per un bel po' e non perché soffro della mania da idolo. Uno dei doni più preziosi che ho è la fortuna della vista e quello che so l'ho imparato osservando. I miei occhi rimbalzano dal leggere i volti del gruppo nella stanza alle luci montate, dai delicati silenzi di Heloise ai sussurri fra Monica e Barbara sui test luci, dal viso di Francesca sul set ai titoli dei libri nello studio. Ma tutto questo passando dalle parti di Sara per rubare quanto più possibile. Ogni tanto scatto anch'io. Francesca è bella, disponibile se la incuriosisci, qualche resistenza se la banalizzi, i suoi e tuoi occhi sono alla stessa altezza ed è fantastico. Faccio male le mie foto, non mi bastano sette minuti per farmi conoscere da lei, le spiego comunque la mia idea e le dico proviamoci, oggi è un gioco.
Quando suonano il citofono sono sulla parete di fondo, in penombra, a guardare altri che scattano. Benedusi entra, saluta tutti, Francesca lascia il set e corre ad abbracciarlo. Scariche elettriche nello studio. A potenze diverse. A me provoca paresi jokeriana, il Marzoli insiste a toccare i fili scoperti, per qualcuna è come la 12 volt dei contatti elettrici per aprire i portoni condominiali, non provoca più di un pizzico, per Nicola è il passaggio da assistente simpatico a faccia seria chicazzoèquesto, per altri è un vicino che mettiamo nella foto di gruppo.
Manca poco alla fine della giornata, domani siamo qualcuno in meno, io sono più rilassato, parliamo di fotoritocco e di come pulire la pelle, colore e raw, c'è più cazzeggio ma si va avanti fino a conclusione, ma oggi, oggi concludo aspettandoti vicino alla porta perché stai andando via. Non balbetto perché tanto quello che ti devo dire è breve. non sento la consistenza della tua mano perché sono concentrato a guardarti negli occhi, poi ho avvolto la tua destra in entrambe le mie mani per rafforzare il messaggio.
GRAZIE.

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Barbara Zonzin
Matteo Basilé
Immagini inquietanti
Robert Mapplethorpe
Paolo Pellegrin
Monica Antonelli
Francesco Marzoli
Sara Lando
Heloise Baldelli
Francesca Cortevesio
Settimio Benedusi

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mercoledì 24 novembre 2010

in corsa

Sono rientrato ieri da Milano e domani si riparte per Assisi. Non ho avuto tempo per fare le cose più semplici. Ho bisogno di fermarmi, ma non questi giorni, non ora. Ho letto velocemente i post di Barbara, Monica e Francesco sul workshop commentando d'impeto il piacere di questa esperienza, rimandando fra qualche giorno, su queste pagine, le mie osservazioni al completo.
Ho cercato di salutare e stringere la mano direttamente a quanti più ho potuto alla fine del workshop, tra i compagni di classe qualcuno mi è sfuggito e me ne dispiace. Ho conosciuto delle belle persone, incontrato chi desideravo incontrare e anche qualcuno a sorpresa, e ho avuto l'occasione di guardare negli occhi chi ha, senza volerlo, sostenuto molte mie giornate no e dirgli Grazie.
La foto di gruppo ufficiale la trovate qui oppure qui e anche qui, scattata dalla padrona di casa Giovanna, questa qui sotto invece è l'immagine che avevo prima della partenza nella mia testolina.


domenica 14 novembre 2010

il mestiere del fotografo


Ph. by Charles Ebbets


Periodo non felice, decisamente. Negli ultimi venti giorni ho rimesso in discussione molte cose, causandomi ferite sotto pelle non da poco. Appunto: causandomi. Dimentico con molta facilità di essere l'unico artefice di questo stato.
Mi sono posto degli obbiettivi alti, come sempre, ma questa volta ci sono dentro con tutta la mia vita, non come quando volevo esplorare le galassie, salvare il mondo, avere qualche super potere, diventare attore o scrittore a tanto altro ancora.
La realtà che incontro ogni giorno fuori dalla porta di casa non la riconosco più. C'è stato un tempo che amavo la mia città, i confini a portata di passeggiata, la sua storia, il suono del dialetto, quella genuina semplicità di chi non ha ambizioni. Poi è arrivato il boom del salotto e il mio paese, no scusate, Altamura ha gli attributi di una città, e la mia città si è ubriacata. Una sbronza fatta di cemento selvaggio, traffico inverosimile - 2,7 auto procapite, 19% suv - corruzione, illegalità, arroganza, malizia, sospetto, individualismo. I postumi sono stati devastanti, la parte sana della cultura si è ammalata. La crisi del salotto poi ha peggiorato le cose: crisi d'astinenza denaro con evidente perdita del senso della realtà. Ogni giorno devo confrontarmi con tutto questo.
Se dici fotografo qui ti rispondono: ah! matrimoni, comunioni! Bé no, anche se tanto di cappello a chi se ne occupa. Mi sta bene spiegare quanto ampio è il mondo della fotografia, anzi mi piace perché mi piace parlare di fotografia; mi sta meno bene se nella testa del mio interlocutore il metro di valutazione di un lavoro è la foto di matrimonio: un prodotto di pasticceria non è una coppia che si scambia un anello.
Recentemente mi sono imbattuto in episodi che sulle prime mi hanno fatto sorridere. Un amico tipografo stava montando delle foto per una brochure di un negozio d'abbigliamento. Scattate in esterna campagna, sole di mezzogiorno senza schiarita delle ombre, inquadrature dall'alto con distorsione delle proporzioni della modella, esposizioni sballate, espressioni lasciamo perdere. Scopro che il lavoro è tutto casalingo: la modella è la figlia del negozio e le foto fatte dal papà o dal fratello. Ancora…
Faccio un preventivo per un mini catalogo di prodotti dolciari. Mai pervenuta risposta si sono in realtà affidati ad un matrimonialista (ho spie tra i grafici e i tipografi). Non commento quello che ho visto. Ognuno è padrone dei propri soldi, per carità. Ma penso che le persone colpite dai postumi di quella sbronza si stanno curando con la medicina sbagliata e fanno assaggiare a me il sapore amaro che ha.
Sempre per cercare nuove soluzione in un mercato non felice mi sto proponendo come post produttore, diamine ne sono più che capace. Ai matrimonialisti con un buon giro a cui poter dare un contributo da esterno presentarsi come fotografo/post produttore è una mossa sbagliata: pensano "questo mi ruba i clienti". Non mi occupo di matrimoni. Ma scusa non sei fotografo?
Ai laboratori non servi oppure sei troppo competente per la loro clientela.
Agenzie di comunicazione? Uhmmm, interessante. Le faremo sapere, intanto Felice Natale.
Aggiungiamo un breve ma non completo elenco di termini qui mai sentiti nel settore fotografico: preventivo, still-life, cessione diritti, copyright, liberatoria, fine-art, fattura, food, post-produzione, portfolio, model release, advertising, workshop, utilizzo delle immagini, set...

Comincio ad avvertire il desiderio di quella vacanza che quest'anno non mi sono preso per risparmi di bolletta.

Nel pieno delle solite pippe non mi sono fatto mancare dei progetti personali. Uno lo trovate qui, su un nuovo spazio dove riversare più immagini e meno chiacchiere, oppure sulla pagina di flickr in versione singola.
L'altro è in fase di post-produzione e di ritorno da milano dovrei poterlo pubblicare. Qualche anticipazione in basso.




venerdì 29 ottobre 2010

Ho regalato un vocabolario a mio nipote



In piena adolescenza fui letteralmente folgorato dai libri. Mi innamorai della lettura e dei piani dimensionali che prendevano forma durante quel rito. Ne ero talmente preso da mettere nero su bianco storie da me create e in uno scatto di presunzione mi feci un bel viaggetto a Milano e lasciai un manoscritto a due case editrici.
Niente gloria, ci mancherebbe. Ma ho continuato a scrivere storie anche dopo, alcune mai finite, per poi smettere del tutto. Ci sono personaggi che ho fatto nascere e depositati in un limbo, bloccati in una istantanea. Se accadrà di terminare quei racconti sarà per regalarli ai miei nipoti.
In quel periodo avevo a portata di mano più di un vocabolario. Ero scrupoloso con le parole, affascinato dai sinonimi e dalle diverse sfumature: la parola giusta per ogni concetto.
Questo mi riporta ad oggi. Non sono uno che parla tanto, spesso sento il bisogno di esprimere quello che penso usando le giuste parole; anche quando devo inviare un sms impiego un sacco di tempo: rileggo e uso abitualmente la punteggiatura adatta. Lo stesso quando rispondo a mail o per i commenti sulla rete. Mi rendo conto che dentro mi porto il retaggio di quel periodo, l'uso rispettoso del linguaggio parlato e scritto. L'attenzione poi cresce proprio in quelle situazioni dove si presuppone si sia instaurata una leggera confidenza, che ci porta ad essere più disinibiti, col rischio, anche involontario, di dire una cosa per un 'altra. Faccio fatica a schierarmi tra essere completamente liberi di esprimersi, senza temere che l'altro possa capire male tanto è un suo problema, oppure scegliere con attenzione cosa dire e produrre un processo artificioso di sequenza di parola, non puro istinto.
Tutte questo perché?
Volevo commentare un post di Francesca sul perché si può arrivare a farsi autoritratti di nudo e pubblicarli. Volevo farlo ma non riuscivo a mettere bene insieme le parole. Ero nella stessa difficoltà in cui si ritrovano i nostri corsisti di teatro durante la lezione sull'estetica, quando gli chiedi di spiegare cosa vuol dire Bellezza: ti danno solo sinonimi, si ingarbugliano, cioè bellezza è bellezza, no? ed è una delle lezioni più divertenti e interessanti.
Sono restato per un po' a pensarci, Il mio perché lo conosco, ovvio, non mi servono nemmeno le parole. Ma essere vivi di questi tempi significa anche vibrare quando ci sfiorano con un quesito di cui banalmente conosciamo la risposta ma non sappiamo esprimerla.
Sul perché di Franceca ci sto ancora pensando, non è detto che arrivi a conclusione, tuttavia stamattina ho trovato ulteriore spunto alle mie riflessione in un post su Artsblog. Si parla di Viktoria Modesta, ventunenne (forse 23enne) di origine russa cresciuta poi a Londra. è una fetish queen. Viktoria aveva una malformazione alla gamba, non in forma gravissima, ma lei non l'accettava, il suo corpo era incompleto. Ha chiesto quando aveva 14 anni che le venisse amputata. Richiesta prima rifiutata perché piccola d'età e non legata a reali motivi di sopravvivenza e poi accolta, immagino alla maggiore età.
Sono andato a leggere l'artico intero su Bizzarre - leggetelo, anche se dovrete tradurre dall'inglese ne vale il tempo.
Una scelta come quella di Viktoria mi ha rimesso in circolo il cosa ci spinge al desiderio di comunicare e come lo comunichiamo. Perché usiamo noi stessi?
Ho l'ottimistica presunzione di credere che le sovrastrutture che la nostra coscienza ha costruito su di noi per difenderci in realtà ci hanno imprigionato. Viktoria pare essere rinata dopo quell'amputazione e si usa così com'è per essere in mezzo a noi, questo è quello che vedo dal mio angolino. Ogni volta che tento di progettare qualcosa che mi vede come modello i filtri dell'autocensura (e quei limiti che si chiamano etica, pudore, società, morale, e non ci facciamo mancare nemmeno quelli dettati dalla moda, dalle televisioni, dai contesti urbani) sono simili alla malformazione che aveva Viktoria: non sono in pericolo di vita ma mi sento incompiuto. La fotografia si è inserita nella mia vita come una parola in una frase. Attraverso la sperimentazione della fotografia voglio conoscere i vari sinonimi di quella parola per arricchire il linguaggio e poterli usare al meglio.
Un paio di post fa, nell'elenco delle "cose che non so" in cima alla lista avrei dovuto mettere "Non so fotografare". Non è un'esagerazione. Essere innamorati della fotografia, viverla ogni giorno, lavorarci, produrre non fa di me un fotografo come non faceva di quel ragazzo uno scrittore. Smettendo di scrivere ho smesso di provarci. Se accettassi di essere fotografo smetterei di provarci ogni giorno.
Perciò sarà meglio che mi compri un buon paia di scarpe: questo viaggio sarà parecchio lungo.

E voi, ci provate?

lunedì 18 ottobre 2010

unduetre

Ci sono un po' di cose, tutte accadute nell'ultima settimana, che solo adesso riesco a fermare. Non sono legate fra loro se non per il fatto che riguardano ovviamente la fotografia. L'ordine con cui li inserisco è solo temporale, mi hanno colpito in maniera diversa e non sento nessuna esigenza di dover dare una maggiore o minore impotanza.

1- E' in corso di svolgimento il progetto per Creativi senza limiti. Ad inizio della settimana scorsa ho incontrato le ragazze per la prima volta dopo essere slittato il primo incontro due volte rispetto al programma che avevo stilato.
Gli appuntamenti si tengono presso una struttura ospedaliera nel reparto DCA (Disturbo Comportamenti Alimentari) e le ragazze sono appunto pazienti del DCA. Ho usato il termine "pazienti" per dare un quadro del terreno d'azione ma non lo userò più riferendo a loro.
Il primo incontro è stato l'equivalente di una partita Nicola-Resto del mondo, dove ne ho preso un sacco e ho faticato il triplo per mettere assegno i miei punti. Sapevo da subito che non sarebbe stato uguale ad un laboratorio di teatro, di quelli che ho tenuto io, dove le persone vengono verso di te perché desiderano avvicinarsi e sapere di teatro. Qualcosina di ossa lì me le sono fatte.
Con il progetto Creativi senza limiti invece mi sono mosso io verso di loro e anche se gentilmente spinti a partecipare poteva non fregare nulla di fotografia a chi ha già la sua gatta da pelare. Così decisi di dare agli incontri un taglio emotivo, cercare di trasmettere quanto più possibile la mia passione per la fotografia, di giocare e divertirci con storie di fotografia e di condurle verso il tema del progetto senza spaventarle. Avevo abbozzato giusto qualche frase iniziale per avere un buon approccio e rompere il ghiaccio ma una delle ragazze lo ha spazzato via con una tale semplicità che ho corso sempre in salita. Per tutto la durata dell'incontro ha nervosamente inviato centinaia di sms ad una velocità irritante, fregandosene di noi, di me e senza dubbio anche di se stessa.
Ho recuperato sul finire qualche sua frase fatta di monosillabe ma è stato come perdere 20 a 1 con me che festeggio per quell'unico punto che vale un trionfo. Poi le ho incontrate ancora, sono arrivato più tranquillo, loro in inferiorità numerica.
Ci sta', è normale.

2- Sono stato a Parma nel fine settimana ma prima di partire ho controllato la posta, messo in ordine lo studio e letto gli aggiornamenti sui blog.
Quando scoprii f/64 ne fui colpito, così, a prima frase. Una canzone che non conoscevi e che adesso desideri ogni giorno sul tuo iPod.
Posso dire di aver visto le foto di Francesca solo venerdì, quelle che ha pubblicato sul nuovo blog. Non ho commentato nulla, quello che ho provato d'istinto è stata una sana invidia e ho aspettato che sbollisse.
Ho iniziato con i matrimoni, prima ancora di scattare facevo post produzione di matrimoni per altri fotografi. La fotografia di matrimonio cambia da regione a regione, spesso da città a città. Non è mai stata la direzione che volevo far prendere al mio studio, per questa ragione tempo fa ho deciso di non fare più foto di cerimonia. In realtà fa pure piacere che più ti allontani da quel mondo e più ti arrivano proposte di lavoro. Ma il meccanismo della foto di cerimonia nella realtà che mi circonda non lo amo.
Le foto di Francesca mi hanno riportato indietro. L'ho invidiata perché ho ripensato a quelle volte in cui presentavo dei bianconeri contrastati, le vignettature evidenti, la scala cromatica spostata su toni non necessariamente mielosi e vedermele prontamente bocciare perché non allineate. Una volta ho lavorato per poco più di tre ore per ottenere un bianconero da stampa fine-art per nulla, visto che la stampa finale è stata fatta in uno scontato colore su esigenza della coppia. Se Francesca ha pubblicato quegli scatti presumo che gli sia stata lasciata la libertà di esprimersi, a questo è dovuta la mia invidia.
Poi, ed è mia opinione, al di là delle foto di matrimonio, produce immagini straordinarie, con un linguaggio preciso, da cui traspare l'attenzione che ha verso il mondo, ed io penso che sà più di quel che vuol far credere.

3- Il weekend a Parma mi ha visto partecipare a un incontro presso Fotoscientifica con la collaborazione di Aproma. Mi sono spaccato la schiena per due notti consecutive in treno e una gionata in mezzo, quasi quarantotto ore senza dormire.
All'incontro ci siamo presentati in tanti e tuttavia a numero chiuso per capacità della struttura. Credo una settantina.
Per chi non la conosce Fotoscientifica è un grande set si sala posa che si occupa principalmente di food e sono in attività da oltre quarant'anni. Metto da parte tutto l'aspetto promozionale dell'Aproma e altre faccende giustamente necessarie presenti sabato per parlare di quello che più mi porto di questa esperienza.
Ho visto negli sguardi, nei gesti, tra i silenzi e le parole dei padroni di casa la passione di due persone che amano la fotografia, e parlo di persone che hanno "ormai la barba bianca" (citazione dello stesso Daniele Broia, uno dei due fondatori). Li ho sentiti metterci in guardia sui tempi non felici della fotografia e di tenere duro, di imparare a cedere quando è necessario ma non prostituirsi, di sperimentare, sbagliare, costruire sugli errori, di non avere paura di parlare dei propri lavori perché "non esistono i segreti", e tanto altro ancora. Cose che in realtà conoscevo ma ti si scolpiscono dentro quando avviene per via diretta invece che attraverso internet. Se un giorno capitaste dalle loro parti andate a trovarli, sono delle persone genuine oltre che ospiti gradevoli.

lunedì 4 ottobre 2010

I don't know #1

Ho messo da parte un po' i miei libri in questo periodo, ho una decina di titoli prima del nuovo saccheggio alla feltrinelli. Però sto leggendo. Comprai dei testi in inglese che mi serviranno anche per prepararmi all'esame a dicembre e, su segnalazione di un post di Sara Lando, il volume di John Harrington, questo di 500 pagine in un bel inglese-americano; almeno terrà occupato me e lontane le mie economie dalle librerie. Sono solo a pagina 10 e temo mi sarà difficile gestire l'ansia da conoscenza di cui sono ammalato, saperi di cui il libro è pieno.
L'ultimo paragrafo letto è "Sapere quello che non sai". Così come suggerito da Harrington l'ho riletto più volte per avere, intanto per me, la certezza di aver tradotto bene e poi per metabolizzare il concetto. Ho avuto un breve momento di autocompiacimento quando mi sono reso conto che qualcosina forse la sto azzecando in quello che faccio, almeno sul piano delle decisioni, meno sul pratico. Ma non dispero, così come usa ripetermi la mia prof di inglese "Nicola sei allo stadio di un bambino che inizia ad articolare le sue prime frasette sciocche, c'è tempo per le complicazioni da adulto" , è bene che accetti di crescere a velocità "umana".
Così stamattina non avendo nulla di divertende da fare ho tirato giù la mia bella lista di cose che non so parte uno, si perché non avendo fatto colazione il cervello si rifiuta di mostrarmi tutto e mi toccherà aggiornare la lista in un secondo momento. L'ordine non segue nessuna logica se non quella delle mie psicosi, perciò non infierite.

1) Non so come si prepara un portfolio da presentare ad un'agenzia

2) Non so contattare e approcciarmi a persone che potrebbero farmi da modelli

3) Non so trasformare un'idea creativa in foto

4) Non so calcolare bene i guadagni rispetto alle commissioni di lavoro

5) Non so usare programmi che potrebbero essere utili al mio lavoro

6) Non so distinguere un buon cliente da uno che mi farà perdere tempo

7) Non so come promuovermi

8) Non so cercare nuovi clienti

9) Non so gestire le luci da studio

10) Non so dire di no quando un lavoro mi può creare più problemi che guadagni

11) Non so gestire il mio tempo per ottimizzare il lavoro

12) Non so fare squadra

13) Non so leggere le fotografie nel senso comunicativo

14) Non so decidere quale stile fotografico più mi rappresenta

15) Non so spiegare il mio pensiero fotografico

16) Non so spiegare le mie foto

17) Non so nulla di come funziona il mondo della fotografia a certi livelli

18) Non so quanto tempo mi occorrerà per risolvere questi "Non so"

martedì 21 settembre 2010

braces



Comprai delle bretelle la scorsa settimana. Erano le nove di sera e i negozi stavano chiudendo. Poi me ne andai in studio, misi su una playlist, quelle che vanno bene col vino e i ricordi, e le indossai.

venerdì 10 settembre 2010

Sul tentare, fallire e giudicare.

La scorsa settimana c'è stato uno di quei vuoti cosmici nel flusso della giornata lavorativa, una mattinata da riempire. Sono andato verso lo studio con l'intenzione di ricreare uno scatto di William van der Steen visto mesi fa in un suo tutorial e che durante la notte è riapparso suggerendomi varianti creative, le quali varianti però avrebbero richiesto più tempo di quello che potevo dedicare quella mattina. Studio allora.

Lo scatto non presentava apparenti difficoltà, pochi tocchi di photoshop e l'idea materializzata nella mia mente aveva anche un senso. Ho comprato dal fruttivendolo il casco di banane che mi servivano, le ho scelte con attenzione trattenendomi dal rispondere al venditore che insisteva sulla bontà del frutto, e spiedini e stuzzicadenti dal minimarket.
Dopo la prima ora passata a cercare di far stare ferme le rondelle di banane nello spiedo ho capito che:

1 esiste la legge di gravità
2 le banane sono umide
3 gli stuzzicadenti possono pungere
4 mi impegnerò a non pensare più "è facile, che ci vuole"
5 posso ritornare a mangiare le banane

Dico questo perché una volta tagliate le rondelle a banana sbucciata dovevo inserire lo spiedino, operazione riuscitissima fino a quando non ho sollevato il tutto per sistemarlo sul set. Le rondelle, ben equidistanti, hanno preso a scivolare lentissimamente verso la base. Al mio tentativo di risistemarle l'hanno rifatto. Ormai il foro di origine dello spiedo si era allargato. E' seguita una serie nuova di fori con conseguente rotazione delle rondelle sull'asse spiedo, con tanti saluti all'allineamento, e l'inserimento di un secondo stuzzicadenti per rondella.
La scena successiva e di me che mi sto mangiando la banana suddetta e ad oggi non si è ancora vendicata col mio stomaco. Ci ho riprovato, tanto avevo cinque tentativi.
Il risultato migliore è quello qui sotto.



Lo scatto è il raw uscito dalla macchina. In post produzione ho assegnato il profilo fotocamera - avevo fatto una foto con il color checker prima - e aperto il file in photoshop.
Il passo successivo è stato pulire gli spiedini, ridare distanza alle rondelle e rifinire i toni. Per controllare che non ci fossero macchie impercettibili sullo sfondo ho creato un livello regolazioni dei Livelli e abbassato i medi. Ho scoperto macchie sul cartoncino e altre dovute al ritocco. Finita la pulizia il livello non mi serviva più.



Mettendo accanto le due immagini, quella di van der Steen e la mia, anche mia nipotina che stravede per me sceglierebbe la prima. Ho segnato i punti che ritengo essere motivo di un'immagine sbagliata.



Nell'immagine di van der Steen la buccia visibile non tocca il limbo, rendendo la banana stessa più leggera, diversamente dalla mia, che con i lembi della buccia in quel modo dà più un senso di appoggio, di fatica.
Le rondelle della prima immagine seppure non equidistanti mostrano una traiettoria precisa, una curva che non aggredisce, che spiega bene l"esplosione", cosa che non vedo nella mia, dove le rondelle si mostrano incerte su dove andare e quale profilo mostrare.
Il terzo aspetto penso sia il più importante: la mia immagine è volgare. Proprio a causa di una iperbole disordinata, di una sommità che punta in alto, l'associazione a stereotipi fallici viene facile. Quando me ne sono reso conto ho provato a far cambiare direzione alla punta col risultato di accentuare ancora di più quel concetto.
Devo però dire che non sono mai partito con l'idea di fare una copia perfetta della foto di van der Steen. Il risultato che ho ottenuto si sintetizza come ben disse Thomas Edison davanti ad un suo ennesimo tentativo andato a male:
Non ho fallito! Ho scoperto un altro modo per non raggiungere la meta.

Se a qualcuno vien da dire cos'altro nel mio scatto gli suggerisce l'idea di sbagliato, può condividerlo.

venerdì 3 settembre 2010

Lettera a me stesso

Mio caro, sono circa un paio di giorni che ti trascini un umore di quelli che pensavo facessero parte di quegli anni in cui pensavi di non essere in grado di fare un cazzo e che ti hanno fatto perdere giorni di entusiasmo e scavato i segni di quelle rughe che adesso inizianoa venir fuori. Il perché io lo so, diciamo che anche tu lo sai ma ci stai girando intorno e non lo vuoi dire apertamente. Ma visto che mi hai tirato in mezzo, facciamo questo partita a due e vediamo quello che ne esce. Comincio io...
sul voler andartene mi sembra sia la stessa storia, va bene qualche cosa è cambiato ma il nocciolo resta lo stesso. Quello che ti ttattiene non sono i legami e lo sappiamo, la situazione a casa non è un legame ma una scusa alla tua paura, ti ricordo che avevi la stessa paura quando dovevi lasciare il lvoro per fare il fotografo e non sapevi come dirlo e quali reazioni avrebbe portato. Sei rimasto quasi deluso che non è accaduto nulla. Vuoi paetire? parti allora, pianifica, informati, scegli ma non torturarmi più con questa storia dei legami. Problema dei soldi? Vent'anni di officina ti sono bastati a renderti capace a raccogliere anche gli escrementi delle formiche, semmai ci fosse bisogno di un lavoro del genere lo puoi fare, e non è che raccogliere escrementi deve poi diventare il tuo lavoro,: abbiamo parlato di trovare soldi per vivere. Sulla creatività. Daccordo qui il discorso è più complicato nel senso che che è talmente una cazzata che non so spiegartelo. Ti ritieni creativo? se si cosa ti manca? attrezzature? spazi? modelli? se pensi che sia questo allora non sei creativo e fattatene una ragione vediamo come risolvere. un suggerimento: inizia da qualcosa che già esiste e reinterpretalo, guarda che non è reato, non è vero che oggi vale solo l'idea figa, questa cavolo di accellerazione delle cose, del tutto bello, di volersi distinguere ci sta facendo perdere il sonno. Ad arrovellarti il cervelllo a trovare lo scatto giusto ti stai perdendo anche quello a portata di mano.
La lingua. L'anno scorso in spagna, un posto di cui non conoscevi la lingua, ti sei fatto 1300 km in macchina da solo, hai prenotato stanze in una lingua che non conosci, hai mngiato chiedendo cibo in un lingua che non conosci, chiesto informazioni in una lingua che non conoscie e porca puttana ci sei stato due settimane e sei sopravvisuto. Ora, ottobre è un anno che studi inglese. Rispetto allo spagnolo che era zero mi sembra che con l'inglese almeno a uno ci sei. Ma tanto non è uno, è di più ma vuoi un po' di coccole. Vaffanculo!
Dopo i legami, i soldi, la lingua a me sembra che argomenti forti con cui controbbattere non te ne sono rimasti molti.
Se poi il rumore di fondo che senti non è solo il voler andare allora deciditi anche su quell'altra cosa, che tanto anche lì sono solo motivi di comodo che hai. Non ho nient'altro da dire. Fammi una cortesia: fatti una risata e la prossima volta fa che ci sia una ragione seria.
Ah, se rileggi o sposti una virgola di tutto questo non ha proprio senso risentirci.

lunedì 23 agosto 2010

L'apprendista stregone

Sta accadendo qualcosa.
Ieri sono andato al cinema. La sala è stata chiusa per ferie e non c'era un granché da vedere altrove nelle settimane precedenti. Avevo voglia di poltrone e dell'aria secca del cinema. Poi non ho dovuto combattere molto con la mia infantile voglia di film per ragazzini, vince sempre lei. Alle nove e qualcosa ero in sala ad aspettare l'inizio de "L' apprendista stregone". I motivi che mi spingono a vedere questo genere di film sono validi perché efficaci su di me, magari un giorno lo spiegherò meglio.
Del film ormai ricordo solo qualche effetto speciale, ma qualcosa di più profondo si è insinuato dentro ed è successo mentre vedevo il film. Sì, qualcosa è in opera, la bolla sta muovendosi in cerca dell'esatta verticalità. Ho la mano che mi trema ancora, il corpo pigro, la testa sempre in guerra, gli occhi ancora da educare, ma va bene, vuol dire che mi sto muovendo e l' idea di una meta che prima mi ossessionava adesso mi spaventa sempre meno. Anzi comincio a pensare che non la voglio una meta, non quella scontata del raggiungimento professionale che rischia di tradursi in me in appiattimento e noia. E' la cosa che temo di più.
L'altra sera stavo cercando una scusa per non mettere in ordine dei file, di dormire neanche a parlarne, leggere con la lampada da 25w puntata nei pressi dell'orecchio sinistro a contribuire a farmi evaporare nel forno della mia stanza proprio non mi andava. Internet allora. Nell'intervista di Barbara Zonzin a Sara Lando il piacere maggiore credo di averlo provato scoprendo quel lato fragile che accomuna tutti quelli che la strada la percorrono in salita. Di persone che amano il proprio lavoro ne ho conosciute pochissime. Sono andato a letto tardissimo addormentandomi su quello che desideravo fare.
Mentre aggiornavo il sito stamattina, mi sono soffermato a rileggere la frase su "about me" dove "…ho scelto la fotografia come mezzo per comunicare". In realtà non lo sto facendo. Mettiamo da parte il lavoro, ma quella parte di foto che dico di "fare per me", quanto è vera? Finora ho scattato si ma cosa? Sono stato un mezzo, come le macchine che uso, ma quello che ho in testa l'ho mai trasformato in foto? Ho fatto ritratti, documentato eventi e storie da un paio di carceri, cartoline di viaggi, istantanee. Qualche settimana fa ho conosciuto Gaetano Lo Porto, un fotografo da un passato fotogiornalistico di tutto rispetto e che oggi si occupa di advertising. L'ho incontrato e intanto che presentavo me e quello che faccio mi sono reso conto che non riuscivo a esprimere il mio fotografare più intimo. La domanda del direttore Sandro Iovine perché si fotografa? pensavo fosse in me, grazie a questo episodio ho smosso di nuovo un po' di polvere. Nei giorni scorsi ho tracciato su fogli da notes schizzi di progetti che vorrei che prendessero luce.
Il progetto Insonnia credo sia stato veramente il primo. L'ho caricato sul sito non convintissimo che fosse concluso, ma non volevo neppure trasformarlo nella snervante ricerca della foto giusta. Dico che è stato il primo perché c'è stata una fase preparatoria, ho fatto degli scatti che mi servivano da studio, le trovate qui, mentre le vedevo e sceglievo i toni in post produzione mi sono accorto che la ripresa dall'alto avrebbe avuto più senso. Dovevo però risolvere il problema di come sistemare la macchina per inquadrare il divano letto dello studio dall'alto. Ho costruito un'asta sistemata su due stativi con un asse di legno comprata al brico e una piastra di metallo che ho saldato personalmente (e in modo terribile) nell'azienda dove prima lavoravo. Ho fatto anche foto e video del making of, per poterlo così condividere qui, e poi sono arrivati gli scatti. Negli studi avevo notato un particolare che sarebbe stato importante ripetere negli scatti ufficiali: l'effetto post dormita. Essendo lo studio nel centro storico e luogo fresco di suo, quando sistemai il set per gli scatti di prova fuori c'erano più di trenta gradi e il sole a ore tre del pomeriggio. La tentazione è stata forte e ho ceduto. Pisolino, che è diventata dormita che è degenerata in senso di colpa al risveglio. Però quel senso di fiacca mi ha aiutato a dare una parvenza meno finta alle immagini. Così quando ho riallestito il set per gli scatti con l'inquadratura sistemata mi sono fatto una sana dormita prima con buona pace della mia mala coscienza. Naturalmente un prezzo da pagare doveva esserci e io l'ho pagato in lucidità, dimenticando in uno spostamento del piano focale la cinghia della macchina appesa, finita giustappunto nell'inquadratura e rovinando una serie di 51 scatti di cui alcuni meritevoli. Questo è un avvertimento per quando finirò nel girone dei dannati per pigrizia.
Questo processo però mi ha entusiasmato. E come l'apprendista stregone ieri, comincio a desiderare di mettermi in gioco seriamente, meglio di prima. Dovrei avere ancora dei giorni più soft a disposizione, saranno utili.
Di seguito le quattro immagini di Insonnia, e ancora più in basso, forse, qualche vostro commento.