domenica 16 giugno 2013

castrazione, censura, divieto

Nell'arco di poco tempo le ho vissute, direttamente e di riflesso, tutte e tre.
La più grave ritengo sia la castrazione. Come si spiega in Inception, un'idea è un seme che si insinua, non sospetto, e cresce giorno dopo giorno, arrivando a manifestarsi compiuto o definito ed è lì che poi dichiariamo: ho un'idea! Per idea qui intendo l'eccezione generalizzata, un progetto, una foto, un percorso, un'opera, un traguardo, e così via. Questa dell'origine è una faccenda che mi intriga, eccita e incuriosisce ogni volta che mi si pone davanti. Da dove parte il mio tutto l'ho intravisto un paio di anni fa e in queste pagine l'ho raccontato dopo l'esperienza con Benedusi a Corigliano. Nell'ultimo anno, provocato anche da forzature, ho potuto analizzare meglio alcuni dei miei aspetti inconsci, scoprendo brutture ma anche meraviglie, e le brutture guarda caso erano il caprio espiatorio del mio fare fotografico. Detto meno misteriosamente come mio solito, i traumi, da qualunque tempo passato arrivino, sono la matrice di ogni idea e atto creativo. L'atto creativo in sé è il riscatto da quel trauma, una sorta di liberazione postuma che si attua ripetutamente quanto grave è o può essere il personale trauma. Se si libera - attraverso l'idea - quel congegno ad orologeria che usura dall'interno, il nostro presente si alleggerisce (scusate sto ancora leggendo storie sufi). Non è un caso e ritengo sia comune, quel senso di vuoto o defaticamento a chiusura di un progetto - qui intendo artistico - Essersi liberato di quei mostri restituisce un vago e piacevole senso di momentaneo annientamento; un coito supremo.
L'idea è in noi, e va partorita!
Quando un paio di anni fa chiesi di poter fare il ritratto ad una persona, lei mi disse che era d'accordo, solo voleva aspettare di essere più in forma. La risposta mi suscitò stranezza, tanto che dovetti spiegare che se esiste un tempo giusto per attuare l'opera, questo è dettato dall'artista e non dal modello. Il modello può essere pronto o non esserlo mai, ma ciò che coglie l'autore in un determinato momento - ispirazione, idea, luce giusta, allineamento dei pianeti - non è posticipabile. L'attimo di Bresson! Se è il modello a chiedere di essere ritratto, sarà sempre l'autore a decidere il quando. Quel ritratto non lo feci più, non come io intendevo almeno o cosa speravo di aver visto in quella persona. Quando recentemente mi si è ripetuta una situazione simile, lo stato delicato della vita della persona in questione l'ha spinta - trattandosi di nudo - a specificarmi che acconsentiva a farsi ritrarre ma che non mi era concesso poi mostrare a nessuno la foto. Ecco la castrazione! I pianeti sono finalmente allineati (autore-modello-intesa) e una variabile esterna rovina sul nascere una singolarità. Tanto vale ribadire che - a mio avviso -  una foto creata e che non puoi mostrare a nessuno è una foto che non esiste.  Castrare un atto creativo è la più tremenda delle pene inflitte ad un artista e dovrebbe essere riconosciuto come atto di violenza. Dietro un'idea ci sono anni, pensieri, esperienze, scelte. Come è possibile dissolvere tutto questo con un no! senza prima aver riflettuto o ascoltato?
Diversamente, ma meno grave, è la censura. L'atto creativo è stato compiuto. Quella liberazione egoistica (traumatica) ha avuto il suo essere. La censura qui non opera come privazione del nascere ma come negazione al perpetuarsi nel tempo. Sulla fotografia… Realizzo una immagine, magari il ritratto di una anoressica mia amica. La foto è tanto pregna del mio desiderio di mostrare quell'autodistruzione a chi voglio bene quanto potenzialmente monito per altre, che la mia stessa amica/modella ne riconosce la gravità e la verità. Spaventata, quindi, chiede di non mostrarla, o fare in modo di non rendere riconoscibile il volto. La censura dunque altera l'idea di partenza. Non ho pensato ad una foto con la stringa nera sul volto o a qualsiasi altro metodo di mascheratura. Perché sono obbligato a farlo? Ciò che io intendo con la foto della mia amica è la foto della mia amica. Punto! Ogni alterazione non decisa da me è un intervento semantico che crea un nuovo diverso. Mi imbatto in questi momenti proprio su articoli trovati in rete sul ritorno massiccio della censura nei confronti dell'arte o dell'informazione, qui e qui alcuni esempi…
Ma se per la castrazione si presuppone un motivo culturale, per la censura quello morale, allora sul divieto la questione è tutta sociale - per non dire politica, visto i tempi.
Abbiamo qui il maggior numero di restrizioni per quanto riguarda la ripresa foto/videografica. Il crescente aumento di questi divieti ci ha assuefatti all'idea che non si può più fare foto in un determinato posto o a determinate cose. Dilaga una latente ignoranza sia fra gli operatori che fra i non addetti, e sarebbe bene che i primi fossero più attenti e consci dei loro diritti. Sono pressoché stufo di dover replicare a chi mi guarda storto perché ho una reflex e voglio fotografare un accidenti di palazzo. Cosa assurda, le compattine e gli smartphone dei turisti sembrano non rientrare nella lista dei potenziali nemici pubblici. Ma forse c'è chi da mente astuta attua il migliore dei progetti dittatoriali alla cultura: creo il divieto, ti castro all'origine!