Questa frase fu detta da Roberrto Vacca, il matematico, nel suo intervento alla trasmissione di Chiambretti
Il Laureato, parecchi anni fa. Ero un ragazzino, non biologicamente parlando. Ricordo che ascoltai tutto l'intervento e ne rimasi affascinato, mi diede una carica incredibile e fu allora che si intensificò la creazione di storie e presunti romanzi.
Poche frasi ti restano dentro come monito, a volte penso davvero che tatuarsele addosso sarebbe la cosa migliore. Capita invece che te ne dimentichi, ritorno nell'oblio della bella vita di tutti i giorni, la matrix del quieto vivere, e si va avanti finché qualcosa nel sistema - cito ancora matrix - non va in corto.
Ero a casa di un amico ieri sera. Era il suo compleanno. Nel suo lavoro fa i turni e ieri gli toccava smontare alle undici, le ventitré!
E' uno di quegli amici storici, stessa età, ci conosciamo da quando avevamo dieci anni. Stessi pomeriggi a giocare a pallone per strada, stesse crisi esistenziali su un Dio ingrato, stesse nottate in piedi all'agghiaccio a parlare di tutto e niente, stesse prime vacanze insieme, e poi i disagi dell'adolescenza, di un paese stacanovista ma ignorante come un mulo, di eravamo quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo, le litigate, la minaccia di prendere direzioni diverse, e poi ancora la musica che ci riporta insieme, la formazione del gruppo, le nostre canzoni, pezzi nostri non cover, l'unica esibizione in pubblico, intanto qualcuno dei nostri inizia a sposarsi, il gruppo si scioglie - in realtà mi allontano io perché la musica non è la mia strada -, arrivano altri matrimoni, i figli, le cose sono cambiate, la crisi, il lavoro di merda sottopagato, lui che ha due figli, fa i turni, non ci si vede quasi mai, lui che somiglia ad una canzone di Rino Gaetano, lui che ieri ha compiuto trentasei anni.
Sono arrivato dopo le prove in teatro, pochi minuti alle undici. I bambini erano a letto, la casa silenziosa, la moglie che lo aspetta in piedi. Qualche minuto dopo è arrivato. Siamo stati in cucina a chiacchierare a bassa voce, noi maschi a berci una birra e lei che con abitudine casalinga tira fuori qualcosa da masticare e un pezzo di dolce fatto in casa. Mi sono reso conto che si era fatto davvero tardi. Prima di andare via mi ha chiamato in uno stanzino, quelli utili per il ripostiglio. "Ti voglio far sentire una cosa"
Ho provato una delicata tristezza mentre me lo diceva. Nello stanzino c'erano le chitarre, il multitracce per registrare, spartiti, accordatore, pedaliere, una bacheca con dei testi: molto del nostro passato di band incastrato in poco più di due metri quadri. Ho ascoltato in cuffia i pezzi su cui stava lavorando. Mi ha commosso, un buon lavoro, da sistemare ma bello, sentito. Siamo rimasti a parlare ancora per parecchio dopo, finendo sulle scale del condominio e quando sono uscito per strada non camminava nessuno. Abitando a un paio di isolati me la sono fatta a piedi. La frase di Vacca mi è risalita dallo stomaco.
Agire e farsi il culo ogni giorno non è un quadro felice, si traduce in vai piano, studia, sii umile, faccia tosta, più autostima, ti farai male, orgoglio quanto basta, muoviti, vai verso senza aspettare, fai esercizi di felicità, vaffanculizzati a comando.
Stamattina mi sono alzato che non ho riposato bene. Ho ripensato a ieri sera come a qualcosa di lontano. Brividi da dimenticatoio. Ho preso un foglio e un pennarello.
Fatto il sogno, fatti il culo per realizzarlo!
Ora ho un terzo tatuaggio.